Pasquale Puertosol Desantis cattura attraverso i suoi scatti storie vere, mostrandoci una bellezza del tutto diversa ma sicuramente più interessante e accattivante di quella imposta dai canoni classici.
Il contatto è sicuramente una delle caratteristiche principali della fotografia di Pasquale Puertosol, dove spesso è anche protagonista con il suo corpo, fondendosi e interagendo con il soggetto scelto da immortalare. Pasquale Puertosol ci invita nella sua intimità attraverso queste immagini che risultano molto personali e seducenti, grazie anche alla luce che spesso troviamo calda o con tonalità contrastanti che esaltano il corpo.
Pasquale Puertosol attraverso la diversità dei corpi e quindi dei soggetti ci invita a esplorare parti del corpo che per molti sono indiscutibili e respingenti, ma che per altri invece manifestano una forte carica erotica, come ad esempio i piedi.

Come e quando hai iniziato a dedicare la tua fotografia in particolare modo alle figure maschili?
Prediligo fotografare gli uomini ma non solo. Credo di essere molto più bravo e predisposto nel cercare di ritrarre i soggetti maschili, la loro parte erotica. Tuttavia, trovo molto interessante anche scattare le donne. Sicuramente più complicato ma proprio per questo è qualcosa che mi intriga ancora di più e che vorrei approfondire. Sul come e quando, è stato molto casuale, come spesso lo sono i miei scatti.

Ho sempre amato e trovato potentissimo il poter immortale un dato momento che si stava vivendo. Il poterlo tenere lì, il poter fermare il tempo.
Un po’ insomma il valore romantico della fotografia, di quello che dovrebbe essere un ricordo, bello o brutto che sia. Fin da piccino non mi bastavano gli occhi ma volevo racchiudere ciò che vedevo, ciò che i miei occhi guardavano, in una macchina o cellulare.
Volevo aver modo di rivedere quell’immagine, quel ricordo. Di poterci fantasticare sopra.
Guardarlo e sorridere o, perché no, piangere!

Chi sono per te i soggetti ritratti?
Molto spesso, la maggior parte delle volte, sono persone che già conosco, con le quali già ho vissuto qualcosa assieme. Persone che mi incuriosiscono sia da un punto di vista emotivo che da un punto di vista estetico, che quasi mai appartiene al cliché della “bellezza greca”. Sono molto più legato allo “strano”, al “difetto” portato bene. Portato con consapevolezza e quasi enfatizzato.

Spesso nei tuoi lavori ti troviamo come soggetto, perché questa scelta?
E’ vero! Molto spesso mi diverto a relazionarmi con i soggetti che scatto. Mi diverte e mi incuriosisce tantissimo vedere la loro reazione nel fare interagire una parte del mio corpo con il loro.
Negli anni passati trovavo molto interessante fondermi completamente assieme, creare qualcosa che potesse avere le sembianze di un unico corpo. Quasi un’unica anima.

Sentire e percepire il loro imbarazzo iniziale per poi, a poco a poco, sciogliersi ed essere disinvolti. Era un po’ un conoscersi, un’esplorarsi passando e skippando vari step. Trovo assurdo quanto la nudità sia un tabù e quanto sia sopravvalutata o volutamente censurata.

Uno dei focus principali nella tua fotografia sono i piedi, cosa ti trasmettono?
Trovo i piedi estremamente sensuali. Secondo me, un po’ come le mani, raccontano molto della persona e del soggetto. La cosa che più mi affascina è soprattutto il fatto che tantissime persone li disprezzano ed hanno un difficilissimo rapporto con i propri piedi. Lo trovo estremamente assurdo. Ho conosciuto persone che, pur di non far vedere i propri piedi, andavano in giro eternamente in calze o che avevano problemi e ribrezzo anche a sfiorarli.
Questo dualismo, questo odio e amore, lo trovo interessantissimo.
È stupendo come qualcosa possa piacere tantissimo e come, altrettanto possa essere quasi odiata.

Cosa ti diverte maggiormente mentre scatti?
Mi diverte cercare di mettere a proprio agio i soggetti che scatto. Mi diverte fargli fare le posizioni più assurde e idem io, scattare nelle posizioni più strambe. Mi diverte l’atmosfera che si crea.
Mi diverte ascoltare tutto quello che i soggetti hanno da dire e quanto il loro corpo possa parlare.
Mi diverte vedere le loro movenze, il loro interagire con me. Mi diverte il seguirli con la macchina e cercare di cogliere la loro parte più naturale e meno costruita.

Quanto ne risente il tuo lavoro per via della censura che i social continuano ad adottare sempre di più?
È qualcosa di estremamente deleterio, snervante e negativo. Il cercare di ovviare alle varie censure, il cercare continuo di nascondere o di sottrarre. Ecco, sottrarre. Questo non ci dovrebbe mai essere, è qualcosa che non si dovrebbe mai fare in qualsiasi forma di arte. Si dovrebbe solo sommare, addizionare, dare il più possibile e mai subire le varie restrizioni.

Qual’è la tua idea di bellezza?
La mia idea di bellezza è assolutamente agli antipodi della bellezza canonica, della bellezza stereotipa, della bellezza “modello greco”.
Sono innamorato dei nasi importanti, delle orecchie a sventola, dei denti storti, degli occhi strabici, delle calvizie.
Ma soprattutto della gente che accetta quello che è, e anzi enfatizza quello che potrebbe essere, per la società, qualcosa di “non bello”, portandolo e indossandolo con disinvoltura e fierezza!


Come si è evoluta dal tuo punto di vista la tua fotografia?
I primi tempi, con i primissimi progetti, mi piaceva tantissimo fotografare con il cellulare. Lo trovavo molto più diretto, molto meno costruito, istantaneo. Addirittura, c’è una serie di scatti e un progetto, dove tutte le immagini sono scattate utilizzando la modalità autoscatto e dove io stesso sono parte integrante della fotografia.

Con il tempo ho imparato ad apprezzare sempre di più la potenza di una macchina professionale, quello che poteva racchiudere e catturare. Mi sono gradualmente distaccato dal soggetto e quasi diventato un osservatore/fotografo. Mi piace immortalare quell’attimo che nella mia testa è interessante.
Mi piace fermare il tempo, poterlo riguardare.
Tuttavia, tutt’oggi, mi piace lo sporco. L’inquadratura storta, distorta. Il non messo a fuoco. Lo sgranato e tutto quello che può essere inteso come “sbagliato tecnicamente”. Odio la post produzione, amo la realtà e l’errore.

Le situazioni che immortali con i tuoi scatti sono reali o costruite?
Tutti i miei “set” sono reali. Non riuscirei a concepire una mia immagine in uno studio. Sono molto innamorato dello spazio che appartiene ai soggetti che scatto.
Raccontano tantissimo di loro e mi aiutato molto a cercare di catturare la loro anima, la loro essenza.
Alcune volte ci sono persone che hanno la premura di sistemare perfettamente la loro stanza o la loro casa prima del mio arrivo, quasi rendendola asettica. Ecco, quelle sono le volte in cui è meglio non scattare!
