Andrew Salgado è un artista di origine canadese che da anni vive e lavora a Londra. I suoi quadri hanno una forza e una tenerezza che li contraddistinguono.
I volti, rappresentati tramite la violenza delle pennellate ad olio, incontrano l’emotività degli sguardi dei soggetti mantenendo un equilibrio curioso tra speranza e dolore.Qui la pittura figurativa classica del ritratto incontra l’astrattismo della tecnica e della realizzazione, che aiutano a raccontare emozioni forti e temi universali come l’identità, la sessualità, la convalescenza. Concetti che percorrono quella linea confusa tra l’aggressore e la vittima.Oltre ad esperienze personali, Andrew ha cercato per i suoi quadri storie che sentiva di poter osservare senza giudicare o cercare di risolvere,dove il corpo maschile, viene brutalizzato attraverso i colori e l’applicazione gestuale della pittura, in un approccio emotivo e viscerale.
So che sei canadese, ma ti sei trasferito a Londra, mi parli di questo cambiamento?
Penso che gli artisti a differenza di molte carriere riconoscono che non c’è nulla a trattenerli in un luogo.Siamo persone desiderose di cambiamento e d’esperienza, che si rendono conto che per dire qualcosa d’importante, dobbiamo esplorare, scoprire il più possibile. Mi sono trasferito a Londra nel 2008 per completare un Master al Chelsea College of Art, e da allora abito qui. A livello d’esperienza il mio primo anno a Londra è stato contemporaneamente sconvolgente ed entusiasmante. Mi sono trovato in mezzo a momenti d’ansia totale e di pura euforia, spesso in rapida successione l’una dall’altra. È una città sconcertante ed affascinante ricca d’opposti ed emozioni su una scala più elevata. E se in qualche momento ero perso, il solo pensiero delle infinite possibilità che offre Londra mi hanno dato forza e desiderio di continuare a crescere come persona e come artista. Penso spesso alla famosa frase di Oscar Wilde, che è qualcosa sulla falsariga di “Se non puoi amare a Londra, non puoi amare la vita”.
Ti ricordi il momento esatto in cui hai capito di voler diventare un artista?
È stato un processo naturale per me, sono sempre stato creativo, e da bambino mi perdevo nella creazione di qualcosa per ore, anche giorni. All’ultimo anno di liceo un insegnante ha visto del potenziale e mi ha suggerito di seguire il campo dell’arte, cercando di costruirci sopra una carriera. Nel 2006 ho deciso di impegnarmi a fondo come pittore e mi sono laureato in Belle Arti in Canada, dividendo il tempo tra il dipingere e il lavoro di cameriere. Correvo al mio studio a completare i dipinti tra un turno e l’altro. Sotto molti aspetti, smettere quel lavoro è stata la decisione più catartica che ho preso. Mi ha portato a dove sono ora.
Mi sono innamorato del modo in cui dipingi la sessualità maschile, le tue opere per me sono figurative, ma a tratti anche astratte. È forse per questo che i tuoi lavori sono così pieni di forza?
Credo che sia parte integrante di come dipingo. La verità è che nel mio cuore mi sento più un artista astratto che figurativo, detesto il termine ‘ritrattista’ perchè quello che faccio ha qualcosa di uni-dimensionale.ho sempre ritenuto superficiale cercare di raggiungere la somiglianza nella rappresentazione. È importante per me mettere in discussione la natura dell’immagine dipinta e quei concetti che non sono così visibili come la mascolinità, la sessualità, e l’identità. Per questo mentre dipingo allento la presa sul lato figurativo, voglio che lo spettatore sia molto consapevole di trovarsi di fronte ad una ricostruzione. Una pennellata potrebbe rappresentare un occhio o la punta di un naso, ma esiste anche un semplice segno di vernice, che non è nient’altro che quello. Credo che sia questo dualismo di forme che mi permetta di mettere in discussione l’immagine che ho dipinto. Mi piace mantenere le cose incerte: la forma ed il concetto, per permettere al mio spettatore di affrontare il mio lavoro con una mente aperta e di giungere alle proprie conclusioni.
Alcuni dei titoli che hai dato ai tuoi lavori sono grandiosi, glieli dai solitamente prima o dopo?
Di solito ho un’idea di base, ma il titolo viene assegnato in maniera naturale. Bloody Faggot è ovviamente un riferimento ironico a me stesso. Lo stesso titolo usato per due lavori, nati dall’ esperienza personale molto violenta, che ho avuto per la mia sessualità e che mi ha fatto considerare la pittura come un mezzo di difesa. C’è un sacco di spazio tra queste due opere, ma per me corrisponde ad una crescita non solo tecnica, ma anche emotiva, che viene con il tempo. The Fear That Keeps Us Awake è un titolo che è nato dopo un periodo abbastanza difficile, in cui sono diventato un insonne per circa 2 mesi, non riuscivo a dormire e produrre lavoro. Questo titolo si riferisce in modo diretto a quel senso di paura che mi ha sopraffatto. Tendo a fissarmi su certe cose quando lavoro e allo stesso tempo, ero anche diventato letteralmente ossessionato dalla canzone The Fear dei Royksopp, l’ascoltavo in loop. Il titolo è pensato per essere un po’ ironico ovviamente, ma ha comunque un significato.
Alla fine come mai hai scelto i ritratti?
Ho una vera e propria affinità in questa materia credo che non riuscirò mai a smettere di aggiungere qualcosa di riconoscibile come umano nella pittura, e dubito che sarò mai in grado di abbandonare del tutto la pittura figurata. Voglio che il mio spettatore abbia una forte reazione osservando i miei quadri, spesso questo inizia con i volti, perchè come pittore e come essere umano sono attratto dalle facce. Vengo dal Canada e penso che lì ci siano delle regole rigide su come debba essere eseguito un ritratto, per me è stata una vera sfida cercare di discostarsi da tale convenzione. I miei quadri hanno cominciato a diventare più avventurosi rispetto l’inizio. Farò una mostra, The Misanthrope, alla Beers.Lambert Contemporary Art Gallery a Londra dall’11 ottobre al 17 novembre. Ho parlato a lungo con il direttore in merito a dove voglio spingere i miei lavori per quella mostra, e siamo entrambi d’accordo che sarà emozionante sfidare me stesso allontanandomi dalla mia comfort-zone. Dico sempre che il peggior nemico di un artista è la sensazione di fiducia che prova producendo arte e non vedo l’ora di sfidare me stesso partendo dal volto ed andando oltre, le volte che l’ho fatto mi ha dato una grande emozione, è difficile per me, ma importante continuare a violare questa lacuna che ho.
So che molti dei tuoi quadri sono autoritratti potresti dirmi quello che spinge un artista ad usare se stesso come soggetto del proprio lavoro?
È un modo per esprimere ad altri come ci vede?
Più banalmente ti dico che suo l’autoritratto per il fatto che io sono il mio modello più facilmente disponibile, e non c’è niente che non farei per la mia arte. Tuttavia più allegoricamente parlando gli autoritratti sono un metodo d’indagine della mia psiche, il mio essere, gli aspetti della mia identità. Per esempio l’autoritratto The Fool era una risposta ad una rapporto personale in cui ho sentito che ero stato ingannato e mentito. Ora sto lavorando ad un autoritratto per la mostra The Misanthrope, che è uno sguardo su come sono diventato la persona che sono, è stato molto suggestivo per me prendere in considerazione che persona sarei potuto diventare. L’idea d’autobiografia nel mio lavoro è importante solo in quanto mi permette di penetrare temi che a mio avviso sono universali, e che comprendo. Storie dissotterrate che mi permettono di creare opere che trascendono quell’ambito più ristretto del ritratto, permettendomi di considerare gli aspetti della mia vita che sono stati più dolorosi o significativi. Ho avuto problemi personali nel mio passato, in particolare a fianco del mio compagno come vittime di un’aggressione avvenuta nel 2008 in cui ho perso i denti. Negli ultimi tempi questo ha influenzato il mio lavoro, in misura minore, e mi sto interessando a storie di altre persone non più strettamente personali.
Lo sguardo nei dei tuoi quadri racconta tante emozioni, per me c’è un sentimento di disperazione, tenerezza, erotismo solitudine. È difficile raggiungere tali grandi emozioni in un quadro?
Sono attratto dalle facce interessanti, e io di certo non sono estraneo al melodramma. Mi piace l’illuminazione drammatica e facce che immediatamente catturano la mia attenzione e quella dello spettatore. Penso che sia molto più interessante dipingere facce che hanno un tipo di forza nella loro emozione. Uso queste emozioni per confondere ed offuscare qualsiasi facile lettura della figura all’interno dell’opera. Cerco di evitare emozioni che sono immediatamente riconoscibili, ho spesso cercato la vulnerabilità. Non sono interessato ai sorrisi o in soggetti chiaramente felici, perché ritengo che siano banali. Ho un sacco di richieste per questo tipo di quadri, ma se non sono dipinti che funzionano in uno schema più grande non posso giustificare la loro inclusione nel mio lavoro. Devo prendere in considerazione ogni aspetto della mia pittura, a cominciare dall’emozione che sto cercando di ritrarre attraverso il mio soggetto.
Quando crei arte pensi a quello che gli spettatori possono pensare osservandola o è qualcosa che scaturisce naturalmente da un bisogno d’espressione interiore?
Prendo sempre in considerazione i miei osservatori, penso che sarebbe irresponsabile non farlo. La domanda più importante che mi chiedo in studio è il motivo. Perché sto dipingendo questo pezzo? Che cosa sto cercando di dire? Ho la necessità d’essere consapevole di ciò che faccio e di come lo sto presentando. Credo di dover essere onesto con i miei spettatori, se ho intenzione di fare affermazioni audaci sulla natura, l’origine e gli scopi che si celano dietro il mio lavoro. Sono incredibilmente autocritico, credo che questo sia uno dei miei più grandi pregi oltre all’incertezza ed al desiderio di migliorare che mi aiuta sempre a crescere.
Concordo con te che alcuni dei tuoi temi siano universali. Tutti possono relazionarsi. Il modo in cui sono rappresentati attraverso le pennellate possono risultano come una vendetta, una violenza, uno stupro o un sollievo che ne pensi?
Cito Francis Bacon, che ha dichiarato: “La mia pittura non è violenta, è la vita che è violenta”. Penso che i temi universali siano il dolore, la gioia, la perdita, l’estasi, la tristezza, il tempo e la convalescenza. Questi sono tutti temi profondamente appassionati, che risuonano universali e in quanto tali, non penso che qualcuno debba necessariamente ricercare le fonti precise d’ispirazione a cui attingo, ma sicuramente ad idee come il dolore, ed il passare del tempo. Questi temi sono ciò che mantiene il mio lavoro propositivo.
C’è qualche giovane artista che ti piace?
In questo momento sto guardando giovani pittori come Cinghiale Razvan, Adrian Ghenie, Alessandro Paganini, Aaron Holz, Hernand Basso, Kim Dorland, Roberto e Renato Miaz, la lista continua…
Cosa ti eccita maggiormente nel tuo lavoro?
Aprire un nuovo tubo di pittura ad olio e strizzarlo sulla mia tavolozza. Quando fuoriesce in una pozza d’olio è così divino e sensuale.
Com’è vivere d’artista?
Mi sento incredibilmente fortunato a fare quello che amo ed ispirare e muovere le persone che a loro volta m’ispirano. Reputo sia un privilegio.
In che cosa indulgi quotidianamente?
Ho una vita piena. Ho la fortuna di vivere in una città meravigliosa, con amici favolosi e grandi opportunità, amo viaggiare, vino e cibo, arte e musica ovviamente. Ho un fantastico partner con cui vivo una relazione da parecchi anni. Sono benedetto.