La prima volta che vidi Mø fu al Plastc di Milano nel 2014, prima di ‘Lean On’ e del successo al fianco di Diplo/Major Lazer. Ricordo che rimasi folgorato dalla sua presenza scenica, molto punk, molto disinibita, Mø è danese e come la storia insegna l’inibizione in Scandinavia non sanno cosa sia, anzi sono invidiosamente liberi e cresciuti come tali, senza quel peso del peccato che a noi pesa sulle spalle grazie al catechismo.
Ricordo Mø cantare con un mini abito stretch che dopo due canzoni gli è arrivato sopra l’ombelico rivelando i suoi slip di pizzo che sventolava in faccia alle prime file e il pensiero mi porta ai topless live Tove Lo, cantante della vicina Svezia e sua amica. Ah, i paesi scandinavi! A volte penso vivano in un felice mondo parallelo.
Intervista di Marco Cresci.
Ma tornando a Mø nel 2014 cantava i pezzi del suo primo album ‘No Mythologies to Follow’, scritto in solitudine nella sua cameretta, poi è scappata in America ha conosciuto Diplo e si è instaurato uno di quei patti artistici rari come un sincero match su Tinder. Nel dicembre scorso è uscito il suo nuovo album ‘Forever Neverland‘ e l’abbiamo vista suonare al Fabrique. Con mia sorpresa vedo che la sua attitudine ribelle non è cambiata, e confermo che per essere apprezzata sino in fondo Mø è una di quelle artiste che vanno viste dal vivo, dove dona tutta se stessa al suo pubblico, che la ama. Sincera, sicura di se e sorridente la incontriamo e ci facciamo raccontare la sua storia post-Lean On.
Ciao l’ultima volta che ci siamo visti era il 2014 e portavi ancora la treccia lunga, cosa è cambiato da allora oltre all’acconciatura?
Oddio mi ricordo di quella sera! Ricordo le foto alle due del mattino nel backstage, è da allora che non torno a Milano! Per quanto riguarda i capelli sai le mode cambiano…. Ahahahah (mima un colpo di treccia degno di una ghetto girl). Ricordo quel concerto, fu molto selvaggio e divertente, ora il mio show è cresciuto, la produzione è più grande ma l’attitudine è la stessa. Per me quando sono sul palco è un momento di totale libertà è questo che devi trasmettere al pubblico esortandolo a lasciare le proprie inibizioni a casa.
E poi nella tua vita è entrato Diplo!
Sono una fan dei Major Lazers da prima che iniziasse la mia carriera, ricordo che durante un intervista dissi che mi sarebbe piaciuto lavorare con loro. Successe che qualcuno lo twittò a Diplo dicendogli: “devi assolutamente lavorare con questa ragazza” e sono stata fortunata perché mi ha contattato. Ci siamo conosciuti e abbiamo cominciato a lavorare insieme poi il successo di Lean On ha sigillato il nostro patto, lo ha reso ancora più forte.
Quanto il nuovo album Forever Neverland è stato influenzato da questo sodalizio?
Sicuramente lo ha fatto, Lean On mi ha introdotto verso un pubblico più mainstream rispetto al mio, quindi ho cercato di sposare un suono moderno con la mia personalità. Diplo è una persona che sa spingere le persone con cui lavora ad andare oltre i propri confini, è una persona che ci vede davvero lungo, lavorare con lui è un’ispirazione, non si ferma mai. Ha cambiato il volto della musica pop. Per questo tutti oggi vogliono lavorare con lui, perché cercano un’evoluzione del proprio suono.
Dalla Danimarca a L.A. come convivono nella tua musica due posti così lontani tra loro geograficamente ma soprattutto culturalmente?
L.A. e il suo cielo blu sono l’opposto della Danimarca, è stato questo scontro culturale che ha contraddistinto il suono del nuovo album. Mi sentivo come un alieno all’inizio quindi ho cercati sia di incorporare il mood di L.A. nelle mie canzoni ma tenendomi a una certa distanza, è un rapporto di odio/amore. Amo stare a Los Angeles ma quando sono lì e come se mi dimenticassi chi sono e da dove provengo, non ritengo l’America come una mia seconda base, quando non lavoro voglio tornare in Danimarca dalla mia famiglia e dai miei amici è quello il mio luogo di appartenenza e non lo scambierei con nessun altro. Non vedo LA come la terra dei sogni, anzi.
Il titolo Forever Neverland si riferisce alla paura di crescere o al sogno americano?
Potrebbe in un certo senso far riferimento allo stile di vita di Los Angeles, sai quel luogo comune che è la città delle possibilità che se ti trasferisci lì troverai gli agganci giusti per la tua carriera e incontrerai le persone che realizzeranno i tuoi sogni. Neverland è quella terra in cui si resta giovani per sempre quindi il titolo fa riferimento alla paura di crescere e di affrontare la realtà. Viviamo in una società che ci insegna a mettere filtri davanti alla realtà e io vorrei toglierli mostrando la verità.