Diciamolo, Tamino è stata la sorpresa di fine anno: quando pensi che i giochi siano finiti arriva lui e ti frega. Inaspettato, intenso, tenebroso, con quella voce à la Thom Yorke che ti irretisce e ti fa suo in un attimo. Di persona Tamino non assomiglia alla voce che ti immagini ascoltandolo, quel timbro cavernoso, quasi ipnotico non combacia con un ragazzone alto, magro, sorridente e ancora senza barba. Nato ventuno anni fa da mamma belga e papà egiziano è vissuto in un ambiente molto musicale, tanto che il suo nome è un omaggio al protagonista de ‘Il Flauto Magico’ di Mozart. Oltre a cantare Tamino è poli strumentista e produttore, il suo primo album ‘Amir’ è 100% frutto della sua mente. Lo abbiamo incontrato a Milano, ecco cosa ci ha raccontato.
Intervista di Marco Cresci
Come nasci artisticamente?
Ho scritto la mia prima canzone a 12 anni mentre prendevo lezioni di piano, studiavo teatro ma poi a 14 anni ho mollato per dedicarmi alla musica seriamente perché mi sono reso conto che scrivere canzoni era diventata per me una necessità.
Descrivici il tuo album di debutto ‘Amir’.
È una manciata di canzoni scritte in periodi differenti che si completano l’una con l’altra. Vedo questo album come un lavoro fatto col cuore e senza compromessi, non c’è nulla al suo interno non voluto o non deciso da me. Sono molto soddisfatto di come ho lavorato con l’orchestra arabo-belga Nagham Zikrayat, hanno sede a Bruxelles e alcuni dei suoi membri sono rifugiati. Sono dei musicisti incredibili, mi hanno affiancato durante la registrazione del disco. Ho imparato molto sulla registrazione e sulla produzione con questo album, per poter allargare la mia visione anche a livello tecnico. Volevo un disco aperto malinconico ma non claustrofobico, capisci cosa intendo?
Sì, fondere insieme malinconia e vastità…
(ride, ndr) Esatto, possiamo dire così. Hai presente quei cantanti tormentati che si chiudono a incidere un album dentro una camera d’albergo con chitarre scadenti e litri di rum? È una cosa che non sopporto! Ma non fraintendermi, anche il mio album è tormentato e malinconico ma volevo esprimesse un concetto di grandezza, non voglio cantare come un miserabile ma con fierezza, quella fierezza tipica della musica araba.
Parlando di musica araba, tuo nonno era un attore e musicista arabo molto apprezzato.
Mio nonno era molto famoso in Egitto, ma proveniva da una famiglia molto povera, ha vissuto per strada da bambino così lavorava di giorno e suonava la notte fin che non si è potuto permettere il conservatorio, poi fortunatamente qualcuno lo scoprì mentre cantava in un locale a Il Cairo e divenne la star più famosa d’Egitto!
Potrebbero farne un film!
L’ho sempre pensato, ha una storia davvero curiosa fatta di sofferenze e rivincita personale.
Ti ricordi di lui o lo hai conosciuto tramite i racconti della tua famiglia?
È venuto a mancare quando avevo 5 anni quindi mi ricordo poco purtroppo, ma ricordo che aveva una voce magnifica e una grande influenza su tutta la famiglia. È stata mia madre a tramandarmi l’amore per la musica, ascoltava di tutto, classica, jazz, musica tradizionale araba, ma anche cantanti occidentali come John Lennon e Tom Waits che amo profondamente. Credo che mi abbia aiutato ad ascoltare ogni tipo di musica senza pregiudizi.
Qual è il primo disco che hai comprato?
‘The Bends’ dei Radiohead, un album che amo tutt’ora.