Nata a Bogotà ma residente a Brooklyn, Ela Minus, poli-strumentista dal passato emo, con Acts Of Rebellion crea tutta sola melodie techno che infondono gioia in questi tempi bui.
La leggenda narra che il giorno in cui in USA elessero Trump nel 2016, Ela Minus scrisse sulla custodia del suo sintetizzatore: “Bright music for dark times” frase divenuta negli anni, a mio parere, la perfetta sintesi della sua musica. Residente a Brooklyn, ma nata a Bogotá, anche Ela si è ritrovata a pubblicare Acts of Rebellion, il suo album di debutto in piena pandemia da Covid-19. Ma quando sei dj, poli-strumentista, ami il D.I.Y. e hai tanto tempo libero causa lockdown, tutto coincide e si crea l’alchimia perfetta. Acts of Rebellion è un album techno che piacerà anche a chi non ama il genere perché ha una linea melodica perfetta per essere canticchiata e dei beat per ballarlo a un rave party, al sorgere del sole. L’abbiamo raggiunta al telefono, ecco cosa ci ha raccontato:
Ciao Ela, come stai e dove ti trovi?
Ciao, sono a Bogotà dalla mia famiglia.
Pensavo fossi a Boston visto il prefisso a cui ti sto chiamando…
In effetti il numero è di Boston ma sono tornata in Colombia dai miei genitori, erano 5 anni che giravo il mondo in tour, mi è sembrato giusto approfittare di questa pausa forzata per stare un po’ più vicino a loro. E onestamente mi sento più sicura quì.
Partiamo dall’inizio, so che eri una emo-kid, che eri fanatica dei Metallica e che da adolescente hai fondato un gruppo, i Ratón Pérez, in cui suonavi la batteria. Come sei arrivata all’elettronica?
È passato un sacco di tempo da allora, la risposta che mi verrebbe da darti d’istinto è che sono cresciuta e i miei gusti mutati. Da bambina seguivo cosa ascoltava mio fratello, poi mi sono appassionata alla batteria anche se mia madre m’iscrisse a scuola di piano classico. Gli anni della mia adolescenza con i Ratón Pérez sono stati formativi, divertenti ma ad un certo punto mi sono annoiata di quel genere. Poi ho scoperto i sintetizzatori e me ne sono innamorata, sono diventati una sorta di ossessione vera e propria.
Amo i sintetizzatori, li curo, li chiamo, mi sento molto vicina a loro, li vedo come la personificazione dei desideri umani, delle emozioni e del potere della nostra immaginazione
Ricordi cosa ti ha fatto innamorare della musica elettronica?
È tutta colpa di un album, dopo che l’ho ascoltato è cambiato tutto in me, sto parlando di There is Love in You di Four Tet. Dal momento in cui l’ho ascoltato ho capito che volevo fare questo genere.
Credi che il tuo passato da batterista abbia influenzato il tuo approccio nel fare musica elettronica?
Credo di si, forse il motivo per cui non utilizzo laptop in nessuno dei miei processi dipende proprio da questo. Mi piace suonare gli strumenti live e non ricrearli, soprattutto la batteria che amo tutt’ora. Amo la musicalità degli strumenti e passare da uno strumento acustico ad uno elettronico è un procedimento naturale.
Ti confesso che non sono un amante della techno ma detto ciò sono rimasto folgorato dal tuo album perchè hai trovato il perfetto equilibrio tra melodie pop e beat elettronici. Come hai sviluppato il suono del disco?
Intanto grazie, sei molto carino nel dire queste cose. Penso molto alla melodia, è la parte essenziale della canzone per me. In Acts of Rebellion ho cercato di unire le sonorità che ascolto quando sono di buon umore e ho voglia di andare a ballare con quello che ascolto a casa, che sicuramente è qualcosa di più melodico e cantato, canzoni insomma.
I tuoi testi, così come il titolo del tuo album, suonano come slogan o parti di un manifesto. Come fai a comporli?
Improvviso sempre tutto, sia con la musica che con i testi. Di solito con i testi, scrivo forse una o due frasi, a volte meno, a volte un’intera canzone. Mentre improvviso registro, è come quando fai degli scarabocchi, poi li riascolto. A volte, ovviamente non hanno alcun senso quindi li correggo, li aggiusto. Ma di solito nascono insieme in modo spontaneo, musica e parole.
Di solito non raffino, piuttosto aggiungo o rimuovo.
Dominique è la mia traccia preferita del disco. Il testo suona onesto e convincente. Quale storia nasconde?
Ho registrato l’intero disco da sola nel mio appartamento a New York, e avevo il telefono rotto, così lo buttai via. Ero in un luogo strano della mia vita, dove passavo il tempo a registrare e non dormivo fino all’alba. Ricordo di aver fatto la parte strumentale del pezzo e di essermi addormentata, mi sono svegliai di sussulto alle 19:00. Fuori era ormai buio e pensai: “Cazzo! Mi devo riprendere mi serve un caffè”.
Ero così confusa… sono uscita dal mio appartamento per andare al bar quando mi sono scontrata con il mio vicino. Il mio cervello non funzionava ancora ma lui era così gentile, voleva parlare e mi chiese: “Non ti vedo da un sacco di tempo, come stai? Come sta andando il disco? ” Io non riuscivo proprio a parlare… Ma se ci fai caso è esattamente quello che ho scritto nei testi – è la canzone più diaristica che abbia mai scritto. In casa non avevo cibo, avevo solo whisky e caffè.
C’è un’artista con cui ti piacetebbe collaborare oggi?
Aurora, è bravissima.