Poppy Field, dalla Romania il ritratto di un poliziotto gay in lotta con sé stesso.
Presentato al 38° Torino Film Festival, Poppy Field (Camp du Maci) segna l’esordio di Eugen Jebeleanu e conferma la lucidità dello sguardo sul contemporaneo del cinema rumeno degli ultimi 10 anni.
La pellicola si ispira a fatti realmente accaduti. 2013, Bucarest: la proiezione di un film LGBT viene interrotta da un gruppo di manifestanti, The Orthodox Brotherhood of the Great St.George: fanatici religiosi e nazionalisti armati di cartelli, icone e rosari. Il film era I ragazzi stanno bene con Julianne Moore e Annette Bening.
A queste negli anni seguono altre manifestazioni simili, nel 2018 contro la proiezione di Soldiers. Story from Ferentari della regista serba Ivana Mladenovic (il suo Ivana the Terrible in concorso e visibile gratuitamente in streaming all’ArteKino Film Festival, insieme ad altri dieci film) e 120 BPM di Robin Campillo.
Questa è la premessa che Jebeleanu usa per costruire il tessuto sociali in cui si muove il suo protagonista, Cristi, un poliziotto – anzi, un gendarme – rumeno segretamente gay.
Il film inizia con l’arrivo in città del suo compagno, Hadi, un assistente di volo. Per di due si prospetta un weekend casalingo d’amore, Cristi difatti non ha intenzione di farsi vedere in pubblico col fidanzato, a cui non dispiacerebbe anche una semplice gita in montagna. Ma è subito chiaro che i due hanno davanti a loro orizzonti differenti.
Seguiamo quindi Cristi in un turno di lavoro. La sua squadra è chiamata a gestire la protesta di un gruppo di attivisti religiosi che hanno fatto irruzione in un cinema (di proprietà statale) per interrompere la proiezione di un film indecente. La situazione è tesa, i poliziotti non sanno che fare. Da una parte guardano ai fanatici con pena, dall’altra non hanno la minima intenzione di prendere le parti del pubblico, per paura di essere ritenuti simpatizzanti o peggio ancora loro stessi gay.
La tensione aumenta, il disagio si fa palpabile: il cinema diventa una polveriera. Uno degli spettatori riconosce Cristi, tra i due evidentemente ci sono dei trascorsi e il suo segreto – che deve mantenere a ogni costo – scatena un complesso effetto domino e lo scoppio della violenza.
La cornice sociale della storia innesca nel protagonista un conflitto interiore che lo porta a confrontarsi con sé stesso.
Cristi è costretto a uniformarsi ai meccanismi etetonormativi del suo ambiente di lavoro, incarnando così il conflitto e la vulnerabilità di molte persone queer esposte ad ambienti machisti e tossici. I colleghi sanno di lui? Lo sospettano? Il regista è abilissimo nell’insinuare il dubbio, senza dire troppo o mostrare, il cameratismo della squadra si esprime anche in questo.
Jebeleanu dirige in maniera sobria e efficace uno spaccato intimo, quello di Cristi è un ritratto complesso che non scade in toni giudicanti o facili morali preconfezionate, osserva il suo protagonista con un misto di distacco e tenerezza.