Arcadia: leggerezza come resistenza, musica come verità

Quando la maschera non è un nascondiglio ma una rivelazione, e quando l’arte diventa ponte tra identità, territori e immaginazione, nascono figure come Arcadia. In bilico tra la realtà e l’utopia, tra la periferia concreta e quella esistenziale, il suo universo creativo si nutre di musica, estetica drag e una continua ricerca di autenticità.

Arcadia, è al tempo stesso musa e specchio, un’entità che unisce leggerezza e disciplina, sogno e struttura. Arcadia ci parla delle radici profonde delle sue canzoni, l’emozione di condividerle con il pubblico, e il significato di essere una “real queen” in un mondo spesso ostile all’unicità.

Con una sensibilità che intreccia lirica e contemporaneità, Arcadia ci guida attraverso i suoi luoghi dell’anima: dalla nostalgia di una periferia che vive di ricordi e contraddizioni, ai palchi dove energia e vulnerabilità si incontrano. Dall’emozionante avventura a X Factor alla fondazione di Arcadia, ci racconta come il suo modo di esprimersi attraverso la musica e l’arte sia evoluto nel tempo. Con una sensibilità rara, Arcadia esplora temi di vulnerabilità, nostalgia e libertà, creando uno spazio in cui ogni nota e ogni parola riflettono la sua crescita personale.

Arcadia ci porta dentro un mondo in cui ogni nota, ogni parola, ogni gesto racconta la storia di un viaggio infinito verso la propria verità. Arcadia attraverso il suo viaggio artistico, rivela come il suo personaggio sia diventato un rifugio dove può essere autenticamente se stessa. 

Dall’esperienza a X Factor alla creazione di Arcadia, come è cambiato il tuo modo di esprimerti attraverso la musica e l’arte?
Sono arrivato a X Factor praticamente un bambino, senza una piena consapevolezza di chi fossi e di ciò che desideravo comunicare attraverso la mia musica. Ho fatto nascere Arcadia nel 2017 per creare uno spazio di libertà in cui poter esistere accanto a tutto ciò che non riuscivo ad accettare.

Arcadia mi fornisce una corazza che mi protegge anche sul palco. Se ripenso a quanto sono stato nudo e vulnerabile a X Factor, mi domando come abbia fatto a resistere.

Fino a qualche anno fa avevo grandi sensi di colpa per non essere riuscito a dare il massimo; adesso la prospettiva è radicalmente cambiata. Ora guardo a quel ragazzo con rispetto e tenerezza, perché è stato lui a gettare le basi per tutto ciò che sono diventato oggi. Ho imparato che ogni esperienza, anche quelle in cui non ci sentiamo all’altezza, contribuisce a costruire chi siamo.

L’incontro con l’arte drag è stato descritto come “rivelatore”. Cosa ti ha insegnato Arcadia su Stefano, e viceversa?
Arcadia mi ha fatto capire che la leggerezza può essere un obiettivo di vita, che non è la performance a determinare la bellezza di un percorso, ma la passione, ciò che ci rende felici al di là di tutto. Stefano ha insegnato ad Arcadia il metodo e la costanza nel lavoro.

È un continuo scambio; non si tratta di un approccio schizofrenico, ma di un viaggio all’interno di noi stessi in cui coesistono archetipi e abitanti diversi di uno stesso palazzo.

Le tue canzoni raccontano la nostalgia di una periferia lontana. Quali ricordi o emozioni cerchi di trasmettere con questa immagine?
Con i miei brani cerco di catturare e trasmettere le atmosfere che respiro uscendo di casa, come se la periferia fosse materia viva, piena di contraddizioni e bellezza.

La nostalgia che evoco non è solo quella di un luogo fisico, ma soprattutto quella complessa mescolanza di profumi, ricordi e immaginazione che si fondono dentro di me.

Le mie canzoni raccontano storie precise, spesso ispirate da momenti reali vissuti in prima persona o inventati; sono sempre e comunque contaminate da sogni e immagini oniriche. È come se ogni brano fosse un ponte tra la realtà e la fantasia che proviene dal mondo di Arcadia, uno strumento che mi consente di gestire la complessità che vivo quotidianamente.

Hai aperto il live di Elisa al Castello Sforzesco e partecipato al Drama Pride. Come vivi il rapporto tra la tua musica e il pubblico durante questi eventi dal vivo?
Il rapporto tra me e il pubblico è qualcosa di molto complesso; spesso percepisco in maniera così intensa l’energia della gente che devo sforzarmi di mantenere il focus sul brano e sul canto. È proprio questa una delle maggiori difficoltà che riscontravo all’inizio: mi fondevo così tanto con le persone che mi capitava di perdermi, volare sopra il palco e non riuscire più ad atterrare, a essere quel canale che mi permette di comunicare attraverso la musica. Certamente il rapporto col pubblico è fondamentale, ma richiede un profondo lavoro di contenimento.

Il tuo album raccoglie brani dal 2017 a oggi, con l’aggiunta di inediti. C’è una canzone che senti più vicina a te in questo momento? Se sì, quale e perché? Come pensi sia cambiata la tua musica dal primo singolo ad oggi?
Rispetto al mio primo singolo, i brani che sto scrivendo in questo momento – e non solo quelli presenti nell’album – sono molto più maturi e centrati.

Una cosa che non è mai cambiata è l’intento puro con cui compongo: ogni canzone nasce da un bisogno reale di esprimermi, di dare forma a ciò che sento.

“Anima”, il mio primo singolo, anche se può sembrare un brano più leggero e istintivo, continua a rappresentare una parte di me. Mi parla ancora oggi, forse perché è una celebrazione del sé stesso, della passione che trasforma ogni paura in forza e ogni limite in espressione creativa. Dal primo singolo a oggi, la mia musica è cambiata insieme a me; è diventata una sorta di specchio: prima rifletteva il mio bisogno di definirmi, ora racconta la mia voglia di esplorarmi senza paura.

Arcadia viene descritta come una “real queen proveniente da spazi e tempi lontani”. Che cosa vuol dire per te essere una real queen?
Essere una real queen significa incarnare una verità profonda, senza compromessi; un’essenza che attraversa il tempo e lo spazio. Nell’astrologia, Arcadia è il rifugio, la mappa stellare che guida chi si sente perso verso un luogo sicuro e autentico. È il richiamo delle stelle a cercare l’armonia anche quando i pianeti sembrano in dissonanza. In letteratura, Arcadia rappresenta un’utopia: un paesaggio ideale dove convivono natura e spirito; una fuga da un mondo che spesso ci vuole omologati.

Come drag queen, questa idea diventa un atto di resistenza: creo il mio spazio, la mia Arcadia personale dove posso esistere al di fuori delle aspettative altrui.

Essere una real queen significa dare voce a chi si sente intrappolato nelle periferie, non solo fisiche ma anche esistenziali. Ogni queen è anche un’eroina in cerca della sua casa; Arcadia è tutto questo: un viaggio continuo, uno spazio dove il reale si fonde con il sogno e dove ognuno può trovare la propria verità.

Se dovessi definire il tuo mondo musicale come lo definiresti?
Lo definirei esattamente come Arcadia: un ambiente utopico che accoglie tutto e in cui tutto può esistere e contaminarsi; il sacro e il profano; ciò che ci piace e ciò che non accettiamo di noi stessi.

Il background musicale da cui attingo varia dai generi più disparati. In primo piano sicuramente c’è la lirica: provenendo da una formazione musicale e canora classica, sono sempre stato profondamente ammaliato dal patrimonio musicale europeo.

Sono innamorato di icone celebri come Courtney Love e Lana Del Rey ma anche meno conosciute come Joanna Newsom e Cocorosie. Da Mitski al canto popolare bulgaro, dal K-pop all’heavy metal trovo ispirazione in tutto ciò che è melodia e ha un ritmo studiato. Il mio mondo musicale corrisponde alla mia anima, che spero continui a guidarmi senza intossicarsi dalle paranoie della personalità.

Le foto di Arcadia sono di Antonio Miucci, il letterina della cover di Matteo Pizzo