Nell’attesa che Jonathan Anderson sveli al mondo la sua visione per Dior e Glenn Martens per Maison Margiela a Parigi, a Milano é finita, senza che nessuno si accorgesse del suo inizio, la fashion week maschile per la prossima estate. Ecco dunque le mie review non richieste di questo fashion week-end.
In calendario? Solo 15 sfilate. Tra debutti incerti, ritorni dimenticabili e conferme che sanno di muffa, Milano si è fatta scavalcare pure da Firenze. Ma procediamo con ordine, che almeno qui abbiamo ancora senso critico.
Setchu apre le danze. Satoshi Kuwata, dopo il Pitti di gennaio, decide di esordire a Milano con la sua “trasformabilità sartoriale funzionale”, un’idea ambiziosa e teoricamente interessante.
Il lavoro di Satoshi Kuwata, fondatore di Setchu e vincitore del LVMH Prize 2023, è sempre stato orientato alla sintesi tra culture e tecniche. Il termine “Setchu” – che in giapponese significa “fusione di elementi opposti” – è già tutto un programma. Nella collezione ss26 questo concetto si fa ancora più radicale: la collezione smonta, spezza, scompone, riassembla.
La destrutturazione non è solo un gesto formale, è il modo con cui Kuwata riflette sull’identità dell’uomo contemporaneo.
Molto interessante il lavoro su alcuni pezzi creati insieme ad artigiani locali (la sfilata voleva essere un punto di incontro tra Africa e Giappone) ma in toto la collezione non spicca il volo nonostante le intenzioni di volare alto fossero tante. Ma hey, questo brand fuori dal sistema non è ancora conosciuto, quindi può ancora permettersi il lusso dell’errore. Goditelo finché dura, Satoshi.

Alessandro Dell’Acqua con la sua N21 non sfila ma presenta la sua collezione maschile offrendo una sorta di antidoto alla confusione (creativa, sociale e politica) attraverso una collezione che evita qualsiasi tipo di concetto astratto (Alessandro sa bene che a quelli della moda piace tantissimo buttare fumo negli occhi quando non hanno niente da dire) affidandosi alla sicurezza della sua visione e della sua estetica con un tocco di leggerezza in piú.
Cosí ecco gli elementi essenziali del guardaroba che pur apparendo semplici non risultano mai banali come non risulta banale la nuova idea di composizione: gli anorak e le camicie con lo stesso tessuto di cotone a righe, i giubbotti con i tessuti uguali ai pantaloncini e alla camicia e la borsa unisex Cabiria.
MSGM MA PER FAVORE: il brand italiano, (prossimo al fallimento?), organizza la presentazione della nuova collezione nella boutique sempre vuota di Via Broletto. Per farla breve Giorgetti, che si é scoperto appassionato di mountain bike, ha preso le foto scattate con il suo iphone durante queste passeggiate adrenaliniche e le ha stampate su tutto quello che gli capitava sotto mano. Che genio, che bravo, che paraculo.

Fiorucci, sotto la direzione di Francesca Murri, continua a sanguinare. Una collezione che sembra il risultato di un laboratorio creativo per bambini bendati. Meglio della scorsa? Sì. Ma solo perché quella alla Triennale sembrava un attacco personale al buon gusto. Look da cartoon, pois, Minnie, angioletti: un patchwork visivo al limite dell’involontario dadaismo. L’ironia di Elio Fiorucci c’era, ma stavolta piange.

Vivienne Westwood torna a Milano per presentare la collezione maschile (non lo faceva dal 2017) e anche Andreas Kronthaler sceglie la strada come location, nello specifico un bar vicino San Babila. Il mood è quello di un dandy di oggi: tutto è all’insegna dell’estate: ci sono la canapa leggera e il morbido tweed, il suede pregiato, i cotoni a righe vivaci, il popeline lavato e stampato, i fiorellini delicati disegnati a inchiostro dall’artista Dominic Myatt.
L’eleganza senza tempo della sartoria inglese e il “raffinato non so che milanese” che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Le scarpe esageratamente alte, simili a quelle che fecero ribaltare Naomi Campbell, non stavano bene a nessuno dei modelli e non staranno bene nemmeno alle drag queen di Milano che le riceveranno in omaggio dal brand in cambio di qualche stories accompagnata dall’hashtag #suppliedby. Quando si dice Punk Capitalista!
Ma d’altronde come recita il comunicato stampa “Quando un uomo ha stile, significa molto. Non ha nulla a che fare con la moda, è tutta una questione di stile.” Ma quale?
Anche Paul Smith ritorna a Milano e fa il suo. Come sempre, sempre bene.
Lo stesso succede da Emporio e da Giorgio Armani senza Mr. Armani a prendere gli applausi alla fine dello show, al suo posto Leo Dell’Orco, da troppo tempo dietro le quinte, da un twist leggero ma significativo ad entrambi le collezioni.
Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno pensato alla pigiameria sartoriale, ok! Ma non rendiamola più noiosa di così.
Un po’ meglio Simon Cracker, il Margiela wanna be, che con la sua collezione riciclata porta in scena una proposta ricca di dettagli invitando il consumatore finale a non guardarsi indietro poiché é la direzione sbagliata.

Bravissimo Magliano, l’unico italiano da tenere in considerazione, che anziché sfilare proietta un piccolo film chiamato Maglianic, schiacciando l’occhio a Titanic, infatti la collezione viaggia su un traghetto e si sviluppa attorno al tema del workwear, reinterpretato in chiave contemporanea e futurista.
Il concetto di retrofuturismo utilitario diventa il cuore del progetto stilistico: una fusione tra la tradizione dell’abbigliamento da lavoro, con le sue divise e uniformi cariche di storia, e l’innovazione di un futuro che richiede funzionalità, comfort e sostenibilità (che si possono permettere forse in tre, visti i prezzi che manco Hermès)
Nel corto, i protagonisti non sono persone comuni, ma i look stessi: zaini da trekking robusti, capispalla tecnici, gilet stratificati, camicie essenziali, scarpe antinfortunistiche e modelli da calcetto progettati in collaborazione con Veja, brand noto per la sua attenzione all’etica e all’ambiente. Ogni pezzo è pensato come una “tenda per corpi senza riposo”, una protezione per chi vive in un mondo instabile e sempre in movimento.
Le stampe e i lunghi cappotti che avvolgono le silhouette sono anche qui un chiaro riferimento al lavoro, ma anche alla dignità e alla classe di chi lo compie. Nelle mani e nella mente di Luca, la moda non è solo estetica, ma diventa un messaggio etico forte: un tributo ai lavoratori e a chi si impegna ogni giorno, un modo per raccontare la realtà con rispetto e sensibilità.
(Ma tanto la maggior parte di voi che leggerete queste review, non é andata a votare l’ultimo referendum che riguardava anche il lavoro, quindi non potete capire di che parlo io e di cosa parla la collezione).


E poi c’é Prada che per la prossima stagione riflette sul discorso che vogliamo andare in vacanza ma non riusciamo a staccarci dal lavoro. E quindi Miuccia e il suo badante Raf forniscono una collezione leggera e apparentemente semplice ma carica di significato.
In passerella tessuti femminili, richiami all’abbigliamento da spiaggia, mocassini tagliati che rivelano le dita e borse da viaggio ripescate dall’archivio ma in colori nuovi.
A completare la collezione trench da ufficio leggerissimi ma rigorosi e cappelli della collezione femminile del 2005 rivisitati. Raf Simons, ancora incerto sul suo ruolo, piazza spille a caso per ricordarci che esiste. Ah Se vi state chiedendo se la scenografia avesse significato la risposta é no, non ne ha, se non un ricordo della collezione donna 2013 tramutata in tappeti acquistabili su Sklum.


Insomma, dopo anni e anni in cui i brand facevano a gara per lo storytelling migliore, per l’influencer piú quotato e collezioni prive di qualità ma piene di sensazionalismi oggi la moda (a parte qualche eccezione) non vuole parlare piú di cosa succede nel mondo, di cosa realmente vogliono i consumatori e di essere avanti rispetto alla realtá ma vuole fare solo vestiti che nella maggior parte delle volte non arriveranno nemmeno in boutique.