The best LGBT+ films of 2020

Una ricognizione sui migliori film del cinema LGBT+ del 2020, tra titoli attesissimi e rimandati a data da destinarsi per colpa dell’emergenza sanitaria (come Ammonite e Summer of 85), pellicole da noi passate ingiustamente in sordina (Monsoon, Your Name Engraved Herein) e documentari che fanno luce su realtà dolorose della nostra contemporaneità (Welcome to Chechnya), con un occhio anche alla servilità d’autore, perché il limite tra grande e piccolo schermo è sempre più labile. 

Ammonite (Francis Lee, 2020)

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Il film si ispira alla storia vera dell’incontro tra la paleontologa Mary Anning (Kate Winslet) e la geologa Charlotte Murchison (Saoirse Ronan), una scorbutica e l’altra depressa intrecciano una relazione clandestina che dona loro nuova energia, ma al di fuori dell’intimità i loro orizzonti sembrano essere troppo distanti.

Francis Lee dopo God’s Own Country torna con una storia che rispecchia a pieno la sua poetica cinematografica: la forza della natura incombe sulle protagoniste investendole con tutta la sua forza, il freddo le debilita, il vento copre le loro parole. Un film intimo e  girato con grande verismo sensoriale che non può sfuggire al paragone con Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma (2019), ma nonostante le similitudini (l’ambientazione, il legale proibito delle due protagoniste isolate dal mondo) Ammonite riesce a vivere di una propria forza e un proprio fascino. 

Your Name Engraved Herein (Liu Kuang-hui, 2020)

Film LGBT+ più visto di sempre al botteghino di Taiwan. Liu Kuang-hui guarda a Guadagnino (Call me by your name) e a Wong Kar-wai per costruire una storia che attinge dal proprio vissuto, quando al liceo – nella Taiwan degli anni ’80, all’alba dell’abolizione della legge marziale – si innamora per la prima volta di con compagno di scuola.

Nel film trova spazio anche una scena che omaggia l’attivista Chi Chia-wei, che da 30 anni lotta per i diritti LGBT+ del Paese: i due protagonisti lo vedono protestare per le strade di Taipei, in mano un cartello con scritto “l’omosessualità non è una malattia” e indosso un vestito fatto di preservativi.

Oggi Taiwan è un Paese diverso, nel 2019 il presidente Tsai Ing-wen ha firmato la legge per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma quella raccontata da Liu Kuang-hui è la storia di un amore impossibile, stroncata dallo stigma sociale, dalle famiglie e della paura: un omaggio a tutte e persone che non hanno potuto vivere la propria felicità a causa dell’oppressione morale e politica. Un film romantico, sincero e toccante, intriso di una profonda malinconia e scandito al tempo di musica. 

Su Netflix. 

L’altra metà (Alice Wu, 2020)  

La regista e sceneggiatrice Alice Wu torna dietro la macchina da presa – per il suo secondo lungometraggio – dopo 15 anni. Era il 2004 quando debuttava sul grande schermo con Saving Face.

In Half of it (questo il titolo originale), Ellie Chu è una studentessa delle superiori che arrotonda scrivendo i temi per i compagni di classe, più svogliati. Non parla con nessuno, è la secchiona sfigata di turno, a casa ha un padre depresso da accudire. Un giorno un compagno di scuola la ingaggia per scrivere lettere d’amore.

Ellie, nonostante la ritrosia iniziale, si fa coinvolgere diventando una novella Cyrano de Bergerac. I due diventano amici innamorandosi così… della stessa ragazza. Ovviamente tutto quello che può andare storto lo farà. L’altra metà del titolo è quella della mela, ma l’amore è un casino, e forse non sempre c’è una metà che combacia alla perfezione. Un coming of age girato con grande intelligenza e sensibilità. 

Su Netflix.

Uncle Frank (Alan Ball, 2020) 

Alan Ball, sceneggiatore di American Beauty e creatore delle serie TV cult Six Feet Under e True Blood, dirige (scrive e produce) un film dai toni molto classici, un dramma LGBT+ dai risvolti feel good.

1973, Carolina del Sud: lo zio Jack del titolo è l’omosessuale di famiglia, professore universitario a New York che incoraggia la giovane nipote a guardare verso orizzonti più ampi. Un funerale è l’occasione per togliere un bel po’ di polvere da sotto il tappeto, non tutto finisce bene, ma la famiglia trova un nuovo equilibrio e una nuova serenità affrontando i propri fantasmi, taciuti troppo a lungo. Una pellicola al tempo stesso complessa (nei temi) e immediata (nella rappresentazione). 

Su Prime Video

Poppy Field (Eugen Jebeleanu, 2020) 

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Dalla Romania il ritratto di un poliziotto gay in lotta con sé stesso. Presentato al 38° Torino Film Festival, Poppy Field (Camp du Maci) segna l’esordio di Eugen Jebeleanu e conferma la lucidità e la qualità dello sguardo sul contemporaneo del nuovo cinema rumeno.

Ispirato alle proteste cattofasciste e nazionaliste che da anni segnano la Romania. La cornice sociale della storia (segnata da movimenti omofobi) innesca nel protagonista, un poliziotto segretamente gay, un conflitto interiore che lo mette di fronte a una scelta difficile e dolorosa.

Pubblico e privato si scontrano in un conflitto che sembra non avere soluzione. Un film intimo e teso, profondo e dolorosamente attuale. 

We Are Who We Are (Luca Guadagnino, 2020) 

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È una serie TV, lo so, ma facciamo finta che sia un film. Guadagnino realizza per HBO un’opera piena zeppa di cose detestabili, come la vita d’altra parte. Nella base militare di Chioggia si intrecciano le storie d’amore e di amicizia di un gruppo di adolescenti.

Sono incoerenti, intrattabili, lunatici: alla ricerca di sé stessi in un mondo che non li rappresenta, di cui non si sentono parte. Un atto deliberatamente ostile nei confronti dello spettatore, volutamente contraddittorio e irrisolto, ma libero e pieno di vita.

Con così tanta carne al fuoco (la sessualità e la politica nel 2016, con l’elezione di Trump che lancia un’ombra irreale sulla scena politica internazionale) riesce a essere strumentale il minimo necessario, e già questo ha del miracoloso. Ottimo esempio, tra l’altro, di come anche l’Italia possa essere scenario efficace per prodotti internazionali. 

Summer of 85 (François Ozon, 2020) 

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Selezionato per l’edizione fantasma di Cannes 2020, Summer of 85 è l’adattamento di un romanzo young adult di Aidan Chambers, Danza sulla mia tomba: l’estate di un amore giovane e tragico. Il regista francese, senza scadere in facili giochi postmoderni fine a sé stessi, fa rivivere lo spirito degli anni ’80 omaggiando Il tempo delle mele, i suoi lavori giovanili e la musica di Rod Stewart e dei The Cure. Sbaglia chi c’ha visto una scopiazzatura di Call Me By Your Name. 

Da segnalare Valeria Bruni Tedeschi: perfetta – come suo solito – nel ruolo della madre volubile, inappropriata e psicologicamente instabile. 

Al cinema nel 2021

Monsoon (Hong Khaou, 2019) 

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Il regista di Lilting (2014) si conferma un vero talento: colpisce la sua capacità di mettere in scena la complessità della contemporaneità senza scadere nel didascalico, lasciando anzi spazio a un vuoto poetico di grande intensità. A Saigon, capitale di un Vietnam in cui la guerra aleggia come un ricordo lontano ma ancora doloroso, il protagonista torna sui luoghi della propria infanzia in cerca delle proprie radici. 

Saint-Narcisse (Bruce LaBruce, 2020)

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Con Saint-Narcisse, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2020, Bruce LaBruce (Hustler White, Gerontophilia) rende omaggio al suo Québec e al cinema degli anni ’70, che da sempre ha ispirato i temi e l’estetica della sua cinematografia  Dominic, ventidue anni: niente lo eccita di più della propria immagine: è il fetish di sé stesso.

Si scatta di continuo Polaroid, si ammira, si brama, si ama. Ciò che scatena le sue pulsioni sessuali più forti è il suo riflesso. Quando muore la nonna però viene a conoscenza di una serie di segreti che tornano dal passato e scombinano tutte le sue convinzioni. David scopre difatti di avere un fratello gemello, identico a lui. Inizia così inizio una spirale di vendette e perversioni. 

Welcome to Chechnya (David France, 2020)

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Documentario prodotto da HBO sulla devastante situazione dei diritti civili LGBT+ in Cecenia: persone sparite nel nulla, rapimenti, detenzioni, torture e esecuzioni extragiudiziali. Un numero imprecisato di cittadini – arrestati dalle autorità in base al all’orientamento sessuale (presunto) – sono morti dopo esser stati portati in veri e propri campi di concentramento. 

Il film segue il lavoro di alcuni attivisti che hanno portato in salvo i sopravvissuti alle torture. Il documentario, girato in segreto utilizzando telecamere nascoste e telefoni cellulari, è stato proiettato in anteprima al Sundance Film Festival e  Festival del Cinema di Berlino. 

Baci Rubati (Gabriella Romano, Fabrizio Laurenti, 2020)

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Il documentario fa luce sulla repressione delle persone LGBT+ durante il Ventennio fascista, un capitolo della nostra storia mai messo veramente ben a fuoco da storici e studiosi. Il documentario è un lavoro corale in cui si intrecciano poesie, lettere e diari, ricostruendo così storie di amori, incontri ed erotismo attraverso le testimonianze dei sopravvissuti a quegli anni dolorosi. Il film documenta anche le forme legislative (e psichiatriche) di questa persecuzione: se difatti in Italia non è mai esistita una legge che proibisse l’omosessualità, nulla ha impedito al regime di operare una repressione sistematica.