Giulio Catelli è un giovane artista che ha tanto da raccontare ed esprimere, il suo mezzo è ovviamente l’arte, un’arte che può sembrare semplice ma che possiede ricchi e profondi significati.
Tutto è fortemente importante nella pittura che Giulio Catelli produce; il colore, il tratto la composizione e soprattutto i soggetti. Ragazzi raffigurati in vari contesti e momenti della vita quotidiana, che sono legati a Giulio Catelli dalla memoria. In palestra, lungo il fiume Ete, questi uomini dal tratto che a volte sembra toccare una forma d’astrattismo ci fanno emozionare, riflettere e sognare.
Giulio Catelli riesce a creare un’atmosfera seducente nonostante i suoi dipinti non raffigurino atti espliciti o nudi integrali, ma ci regalano cosi una sensualità poetica e raffinata.
Quando hai iniziato a dipingere?
Ho cominciato abbastanza precocemente sulla spinta degli esempi familiari: i nonni pittori da entrambe le parti, mio padre scultore e mia madre disegnatrice e illustratrice.
Verso i quattordici anni avevo già una cartellina di disegni e un quaderno di caricature dei professori. I piccoli dipinti che sono seguiti, hanno in gran parte questo tono scherzoso e ironico.
Qual è stato il tuo percorso artistico?
È stato piuttosto canonico, con l’Accademia di belle arti integrata da un Corso di laurea in studi storico – artistici; sia in un’istituzione sia nell’altra, la possibilità della pittura come pratica contemporanea era trascurata, sottostimando peraltro, anche molti assunti di base degli altri media espressivi.
Mi appassionava soprattutto l’arte europea degli anni trenta; all’università di Roma potevo attingere ai testi del fondo Venturi, con i libri ingialliti e friabili, come i rotoli di Qumran.
Ho lavorato soprattutto sul paesaggio, all’inizio suggerito e larvale, poi sul ‘vero’ in presa diretta en plein air, a segnare una predilezione per gli spazi aperti e per una luminosità piena e ariosa.
Nel tempo non sono molto cambiati i soggetti, il paesaggio e la figura sono rimasti ad avvicendarsi; spero invece, che si sia ampliato il modo di sentire e di avvicinare le cose del mondo. Ma se dovessi dire cosa ha influenzato di più il mio percorso, direi senza dubbio l’incontro con altri pittori, prima avvicinati e poi divenuti amici.
Ricordi quando hai terminato il tuo primo dipinto? Cosa ti ha provocato?
Il primo quadro l’ho dipinto una sera insieme a mia sorella Raffaella, ricordo soprattutto il senso della sorpresa, questo anzi direi, è il sentimento che è rimasto a identificare il mio rapporto con la pratica della pittura. Nei tentativi degli inizi, ero attratto dal calore della materia, dalla corporeità degli impasti.
Spesso, dopo aver riposto i lavori ad asciugare nello sgabuzzino delle scope (il primo sacrarium della pittura), tornavo per vedere se quel brivido, se quel “pulsare” del colore che osservavo in corso d’opera, si fosse spento o se invece, si fosse saldato nell’amalgama dell’immagine.
Chi sono per te gli uomini raffigurati?
Al momento sono più che altro ragazzi, soggetti d’affezione tanto generici quanto legati a memorie autobiografiche, figure colte nelle pause dalla scuola o sullo sfondo dei parchi cittadini.
Possono anche essere ritratti di amici e talvolta, autoritratti.
Più in generale credo di poter dire, che la figura proprio per la sua fisicità e l’addensarsi di dimensioni narrative e psicologiche, vada ridimensionando aspetti allusivi e metaforici: di entrare in contatto con quanto di concreto, espressivo, se si vuole anche impuro, è nella vita e nel presente.
Che importanza ha nella tua vita la figura maschile?
Questo potrebbe essere più un quesito psicoanalitico che pittorico.
La pittura si serve di tutte le pulsioni, anche di quella sessuale ma insieme con altre forze e risorse.
Tuttavia la domanda è proprio sulla figura umana e d’istinto, penso immediatamente alla bellezza: ma quale bellezza? L’unica che m’interessa è oltre il canone, quella che si manifesta più profondamente nella libertà d’approccio, nelle ‘occasioni’ del quotidiano, imprendibile e sublime.
Così posso dire che fra l’esibizione dello strazio, tanto presente in gran parte della scena contemporanea e invece, la possibilità di una fiducia nei sensi e nei sentimenti: ho scelto proprio quest’ultima via, quella che spero lontano da una sciocca celebrazione, tenti una ricomposizione dei nostri conflitti.
Ci parli un po’ delle tecniche che utilizzi?
Non utilizzo una sola tecnica, la tendenza sarebbe di disfarsi dei passaggi obbligati, di uscire da quei principi, metodologie che a mio avviso possono costituire un ostacolo all’espressione.
In generale sono per una certa fluidità del segno, per una forma che tende a essere aperta libera da una progettualità vincolante. Dipingo in modo che la traccia del colore assuma una valenza corsiva e un po’ grafica, con spazi bianchi tra le stesure.
I colori dei tuoi dipinti si alternano da tonalità neutre e delicate a tocchi caldi e freddi più intensi, ci parli del tuo rapporto con il colore?
Il colore nel mio lavoro non ha una sua ragione solo in riferimento a una forma esterna, ha una fisicità propria, una consistenza che gli viene dal gesto, dal tocco che tutto il corpo con le sue tensioni e i suoi umori gli imprime.
Per registrare questa varietà di tracce e stesure, di preferenza dipingo su un supporto chiaro in modo che i toni abbiano una lucentezza interna.
Impasto fino a ridurre a una poltiglia neutra la pasta brillante dei tubetti, ricavandone una sorta di grigio grafite con cui do avvio al quadro; può capitare che continui su un registro basso come di bordone, più spesso lascio esplodere il colore in tutta la sua luminosità.
I tuoi lavori sembrano avere un velo di malinconia, è cosi?
Senz’altro la malinconia è un tratto del mio temperamento, disposto al ricordo e alla divagazione bizzarra.
Tuttavia, senza indulgere in un pessimismo arrendevole (cerco anzi di contrastarlo), direi che la pittura si possa nutrire anche di una certa esitazione, di un’ombra, di un indugio che sottragga l’immagine alla pura rappresentazione.
Mi accorgo di desiderare una misura tranquilla e accogliente, questo tuttavia, non mi impedisce di sentire l’esigenza di dover precisare, mettere a fuoco e ancora di studiare.
Cosa ti ispira maggiormente nella vita?
Direi la vita stessa. Nonostante le timidezze, la ritrosia – e talvolta i blocchi- quello che cerco, probabilmente a contrastare questi aspetti caratteriali così frenanti, è proprio l’immersione dinamica e imprevedibile delle cose del mondo.
Hai in programma delle mostre?
Qualcosa è in cantiere. Sto mettendo insieme appunti e disegni, sul paesaggio che vedo ogni mattina aperte le imposte, e ancora lavoro alle immagini dei ragazzi impegnati nelle partitelle di calcio, o negli spostamenti tra casa e scuola: figurette allegoriche dell’immediatezza gioiosa e semplice della pittura.