Nel suo nuovo spettacolo, Perestrojka e Pancake, Daniele Gattano affronta le sfumature della società contemporanea con uno sguardo ironico e sincero. Dai dialoghi rubati alla quotidianità alle riflessioni personali, l’artista LGBTQ+ confeziona un tour che promette risate e introspezione, portando nei teatri italiani un approccio unico alla stand-up comedy.
Daniele Gattano rifiuta etichette, comportamenti di facciata e… i pantaloni larghi. Ma nel suo nuovo tour di stand-up comedy, Perestrojka e Pancake, ci invita a non smettere mai di cambiare. Volto noto al pubblico televisivo grazie a programmi come Colorado, Le Iene e Comedy Central, Gattano ha calcato anche i palchi dei Pride e dei Diversity Media Awards, diventando una voce ironica e autentica della comunità LGBTQ+.
Il suo nuovo spettacolo partito da Milano, con due date sold out al Teatro Manzoni di Milano il 13 e 14 gennaio scorso, toccherà numerose città italiane fino a maggio. Nato come “attore impegnato”, Gattano si è reinventato come comico che condivide riflessioni e osservazioni sul mondo, abbandonando l’autobiografia e concentrandosi su una realtà piena di contraddizioni. Perestrojka e Pancake non è solo risate: è uno sguardo lucido su ciò che ci circonda, con il desiderio di lasciare al pubblico un pezzo di sé.
Il titolo del tuo nuovo spettacolo, Perestrojka e Pancake, incuriosisce molto. Quali tematiche principali affronti e come si intrecciano con questa scelta particolare?
Le tematiche mi sono state diciamo suggerite. Già nello scorso spettacolo ho letto dei dialoghi veri che ho sentito in metro, ristoranti… lo farò anche in questo spettacolo.
A giugno ero in stazione Centrale a Milano e ho sentito due signori parlare delle loro vacanze, uno dei due ha detto: “A me piace la crociera perché vai tipo in Grecia visiti il posto, poi la sera torni sulla nave, e sono tutti italiani. Più vado in giro e più sono orgoglioso di essere italiano”.
Me lo sono segnato pensando “ecco un tema per il nuovo spettacolo” non aveva ancora un titolo, poi è uscito “Perestrojka e Pancake” che nasce da altre origliate che leggerò e che commenterò.
Hai raccontato di aver dedicato un’estate intensa alla scrittura di questo spettacolo, definendola la “peggiore” della tua vita. Cosa ti spinge a lavorare così duramente su un testo? È l’ansia di superarti o qualcosa di più personale?
L’estate è il periodo dell’anno che meno mi piace, quindi mi sono rovinato un periodo dell’anno sacrificabile. Ho scritto molto perché ero stimolato dalla tournée che sapevo sarebbe partita, e poi perché ho sempre il desiderio di presentare qualcosa di bello e mi ci accanisco. Mai più comunque.
Nel tuo monologo a Le Iene nel 2022 hai detto: “Quando sento Giorgia Meloni dire ‘Non sono omofoba’ mi fa una tenerezza: perché è brutto non accettarsi.” Hai avuto esitazioni prima di affrontare un tema così delicato in un contesto televisivo mainstream? E pensi che oggi la stand-up comedy sia uno strumento efficace per sfidare certi pregiudizi?
Nessuna esitazione. La stand-up comedy certo è utile socialmente e politcamente, ma la stand-up comedy può essere anche cazzeggio, spirito d’osservazione comico su piccole cose del quotidiano.
Hai nominato diversi stand-up comedian italiani e stranieri che ti hanno ispirato, come Martina Catuzzi e Demetri Martin. Come questi artisti hanno influenzato il tuo stile e cosa senti di aver sviluppato di unico nel panorama comico?
Ecco, Demetri Martin è un comico che basa tutto sull’osservazione, piccoli spunti rapiti dal quotidiano, anche Francesco Piccolo con “Momenti di trascurabile felicità” mi ha ispirato da quel punto di vista.
Martina Catuzzi, che dovrà a breve mandarmi un bonifico visto che la cito sempre, mi piace perché la sua è una comicità libera, antiretorica.
Io invece non so esattamente che cosa ho sviluppato, sicuramente quando scrivo cerco di essere sincero, di non inventarmi cose, questo perché da pubblico mi piace quando capisco che un comico mi sta dicendo il vero, gusto mio.
Essere un artista dichiaratamente LGBTQI+ ha influenzato il tuo approccio alla stand-up e ai temi che scegli di trattare? Hai mai sentito il peso di dover rappresentare una comunità attraverso il tuo lavoro?
Io quando ho iniziato non sapevo cosa fosse la stand-up comedy, mi sono presentato a un provino con un monologo sul mio coming-out, il provino era per Zelig lab, il termine “lab” lo avevo inteso come laboratorio, immaginavo un regista o autore che faceva un corso sulla comicità.
Poi mi hanno preso e ho capito che mi sarei dovuto esibire assieme ad altri comici con i miei monologhi, monologhi che non avevo, e l’autore Federico Bianco mi disse: “è la prima volta che un comico parla così di omosessualità, prova a scriverne altri se ti va” si parla di otto anni fa.
Da lì il mio primo passaggio televisivo, ho iniziato a ricevere i primi inviti come ospite ai Pride, Gay Village ecc… e qui mi è capitato più volte di essere presentato con: “E adesso il comico e attivista” salendo sul palco ho sempre detto: “Non sono un attivista”.
Capita che la bandiera e riconoscimenti simbolici di valore vengano dati con grave superficialità, è successo a me definendomi automaticamente attivista, oppure il Sanremo in cui Achille Lauro era diventato in un lampo paladino del gender fluid, oppure la scelta di alcune madrine ai Pride…
io per non sentirne il peso nei miei monologhi parlo in prima persona, parlo di me e non estendo a nessuna categoria.
Tra tutte le tue esperienze televisive, hai un ricordo particolarmente caro di Comedy Central e Tv Talk. Cosa rende un contesto lavorativo così speciale per un comico? E quali sono le differenze più marcate rispetto ai grandi show generalisti?
Comedy Central la libertà, nessuno mi ha mai detto: “Questa cosa non la puoi dire” e quando sai di poter dire tutto quello che vuoi è molto bello. Tv Talk è stata un’ospitata di un pomeriggio, nata e morta lì, però è un programma che seguo quindi ero contento di andarci.
Le tv generaliste cambiano a seconda del programma, il monologo che ho fatto a “Le Iene” su Italia 1 non lo avrei mai potuto fare a “Zelig” su Canale5.
Eppure sono entrambe generaliste: ogni programma è a sé, entrano in gioco una serie di fattori, sensibilità, premure che se vuoi andare in tv accetti oppure non accetti e non la fai.
Durante i tuoi spettacoli capita che qualcuno si senta offeso da una battuta, e tu sei aperto al dialogo. Quanto è importante mantenere questo confronto diretto con il pubblico, e c’è stata una contestazione che ti ha fatto davvero riflettere?
Il confronto diretto lo apprezzo tanto ma è molto raro. Mi è capitato solo due volte che qualcuno venisse a dirmi in faccia “quella battuta no” e ne abbiamo parlato, poi ho riflettuto e riflettendoci ho deciso di tenere la battuta. Però a me la critica muove sempre un pensiero, una riflessione, quindi bene.
Hai un rapporto interessante con i social media, mantenendo un approccio minimalista rispetto a molti tuoi colleghi. Ritieni che questa scelta ti permetta di preservare la tua autenticità o rappresenta un limite per raggiungere nuovi spettatori?
Il presenzialismo sfrenato lo trovo svilente. Ma oggettivamente funziona, quindi nel mio caso è un limite.
Qual’è l’ultimo disco di cui ti sei innamorato?
“At Last for Now” di Benjamin Clementine.
Ecco dove vedere Daniele Gattano:
MESTRE Teatro Toniolo 01 febbraio
NAPOLI Teatro Troisii 02 febbraio
PORDENONE Teatro Capitol 07 febbraio
TORINO Teatro Superga 21 febbraio
LATINA Teatro Moderno 07 marzo
GENOVA Teatro Stradanuova 15 marzo
PERUGIA Auditorium San Francesco al Prato 29 marzo
VASTO Teatro Madonna dell’Asilo 12 aprile
ROMA Teatro Ambra Jovinelli 23 aprile
BOLOGNA Teatro Dehon 29 maggio