ELASI: un ELASIR onirico di suoni e visioni

Ridere, cantare, ballare, abbracciarsi: quello che succede ai concerti di Elasi è un rito collettivo coinvolgente, guidato da coreografie, props DIY e un’attitudine da pop star internazionale. L’abbiamo intervistata e fotografata, catturando tutta la sua contagiosa energia.

Elisa, meglio conosciuta come Elasi, è una delle voci più affascinanti della scena musicale contemporanea, capace di mescolare generi e influenze diverse con un tocco unico e personale. Nata con un forte legame per la musica, la sua carriera è partita dalle lezioni di pianoforte e chitarra classica, ma è poi esplosa in un mondo sonoro che spazia dalla world music al sound UK.

La sua immagine, con il suo stile unico e viscerale, sembra uscita direttamente da un paesaggio dell’artista Luigi Serafini, un mix di colori e surrealismo che ben riflette il suo approccio creativo. In questa intervista esclusiva, ci racconta del suo percorso musicale, del suo primo album “ELASIR”, un progetto che riflette la sua continua ricerca di leggerezza che scava in profondità, e del suo approccio alla performance dal vivo, dove energia e ironia sono protagoniste.

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Ciao Elisa, come stai?

Super bene!

Come ti senti ora che il tuo primo album ELASIR è uscito, che effetto fa?  

In realtà mi sento ancora dentro al processo. Quando l’ho finito, ho messo un punto, ma non ho mai avuto la sensazione di aver chiuso un capitolo. Continuo a scrivere, ad ascoltare, a lasciarmi trasportare da questo flusso creativo.

Hai ricevuto dei feedback positivi?  

Sì, mi sembra di sì! Sono molto contenta e, chissà, magari chi ha qualcosa di negativo da dire preferisce non farlo. Ciò che conta per me è essere soddisfatta del lavoro che ho fatto, e lo sono.

ELASIR è un album che ti rappresenta molto, sia musicalmente che nella dimensione live. Per me è come un antidoto alla tristezza, schiacci play e ti lasci trasportare! 

Era proprio questo l’obiettivo! Per me è stato un antidoto in un periodo particolarmente pesante. Volevo creare qualcosa che portasse leggerezza, ed è per questo che l’ho chiamato “Elasir”.

Da dove nasce questa tua abitudine di giocare con i nomi? Prima c’è stato “Oasi Elasi”, poi “Campi Elasi” ti vengono spontaneamente?  

Mi vengono così, per caso! Infatti ora sono un po’ in crisi: What’s next? Non ne ho più, ma vediamo cosa mi inventerò per il futuro.

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Una cosa che apprezzo molto di te è che sei un’artista completa. Ti scrivi i pezzi, curi i tuoi live, costruisci un mondo artistico in cui chi ti ascolta può immergersi. Nel tuo universo vedo richiami ad Almodóvar, Serafini, Yoshimoto e persino al film “La morte ti fa bella”. C’è un mix di elementi pop che, analizzandoli, rivelano significati più profondi. Me ne parli?

Assolutamente! C’è anche un po’ di dark, ma ben nascosto sotto i colori. La malinconia c’è, ma cerco di alleggerirla. Tra l’altro, Serafini mi ispira tantissimo visivamente: sono una super fan e recentemente l’ho anche conosciuto. Mi ha invitata a casa sua a Roma ed è stato incredibile. Quando scrivo, immagino mondi simili ai suoi disegni: sono il mio rifugio. Per me è fondamentale curare ogni aspetto della mia espressione artistica, dalla musica alla performance, fino all’estetica e ai costumi.

A proposito di estetica, conosci la cantante Isadora Juice?  

No, chi è?

È una soubrette di fine anni ’70 che cantava a Domenica In. Mi ricorda molto te, nel look, nel ballo e anche nell’utilizzo di parole straniere combinate alla lingua italiana, quindi sono felice di averti dato uno spunto! Ma parliamo di musica: la tua ricerca sonora spazia molto, e in ELASIR si sente. Anche se la world music è più nascosta rispetto ai tuoi lavori precedenti, rimane un elemento importante. Come ti sei approcciata a questo album?

Amo la world music, ma ultimamente mi sono avvicinata anche al sound UK. In alcuni brani si sente un mood più veloce, con casse Baltimore anziché in quattro quarti, più da club. Nei pezzi più riflessivi, invece, c’è un tocco bachata, un po’ di Nicolas Jaar.

Ho sempre un occhio verso il Sud America e la musica popolare italiana: in “TIGRE BIANCA”, ad esempio, abbiamo usato campioni umbri. Adoro comprare vinili strani nei mercatini e lasciarmi ispirare, ne ho uno con un pavone in copertina, ma con la coda chiusa… Orrendo, ma mi piace! Poi li campiono e li inserisco nelle produzioni elettroniche. E naturalmente c’è anche un po’ della mia anima classica: ho usato la chitarra classica di mio nonno in alcuni brani.

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Parlando di tuo nonno, quali sono le tue origini musicali? Come hai iniziato?  

Da bambina facevo spettacoli per i miei genitori fingendo di essere Raffaella Carrà! Ho visto un meme che diceva “Se da piccolo facevi spettacoli in casa, oggi sei mentally insane”… Eccomi! I miei hanno capito che avevo una passione e mi hanno iscritta a lezioni di pianoforte. Poi sono passata alla chitarra classica, che studiavo in conservatorio ma nel frattempo suonavo punk nei pub e nelle sagre della provincia di Alessandria. Mai avrei pensato di fare della musica una professione, perciò ho studiato economia per avere un piano b. Ma anche mentre ero a Los Angeles per la mia tesi, ho lavorato in uno studio di produzione musicale e ho imparato a produrre.

Di cosa parlava la tua tesi?  

Era una supercazzola: “L’autoimprenditorialità di un musicista emergente”. In pratica ho creato un business plan per la mia carriera!

Quindi sei il CEO di Elasi?  

Esatto! E grazie a questi studi ho vinto un bando a fondo perduto che mi ha permesso di finanziare il mio primo progetto: collaborare con musicisti da tutto il mondo. Abbiamo registrato a distanza con un griot del Mali, percussionisti brasiliani, un’orchestra gamelan balinese, è stato affascinante.

Nel tuo album non ci sono featuring: brava!. Scelta voluta?  

Sì, non volevo fare featuring per strategia, anche se adoro collaborare.

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Però in “TAIKO”, c’è una voce che parla sotto, di chi è?

È un ragazzo persiano. Si chiama Soheil Raheli. In quel periodo ero in residenza alla Casa degli Artisti e avevo scritto tantissimi pezzi, una decina, di cui quasi nessuno è nel disco, però è stato un periodo molto produttivo. Ho chiesto a lui di registrare qualcosa nella sua splendida lingua e mi ha detto che, se ricordo bene, significa “quando entri nella mia stanza, fai piano, perché potresti rompere i cristalli che sono sul pavimento”.

Invece “LORELLA” è un po’ il tuo “inno gay”, giusto?

Ahah, sì! Ora sto preparando tutto con molta cura, la coreografia e tutto il resto perché l’8 marzo parteciperò alla finale di “Una Voce per San Marino”.

Ma è una notizia super! Penso sia il pezzo perfetto, ma chi è Lorella?

LORELLA è un personaggio che mi sono inventata, un nome che suonava bene per la canzone. Mi piace inventare dei personaggi, dar loro delle storie come faccio anche in MARINA (BACHATA) o TAIKO. In questo caso, mi sono immaginata una regina dei club, una drag queen molto elegante, con un kimono a forma di farfalla, che gira per i club del mondo ed è conosciuta da tutti, senza che si sappia nemmeno bene perché.

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A proposito di collaborazioni, tu e la dj e produttrice Plastica avete fondato il collettivo POCHE. Com’è nata questa sintonia?  

Ci siamo trovate subito! ICEBERG e AM li abbiamo scritti all’ultimo, ma ci sono piaciuti così tanto da cambiare la tracklist del disco. Con POCHE vogliamo rendere più accessibile la produzione musicale, con workshop gratuiti e spazi sicuri per lo scambio artistico. Curiamo anche una rassegna live al Detune.

E funziona?  

Sì! Organizziamo eventi una o due volte al mese, tutto pro bono.

Prima ti ho detto che il tuo disco mi mette allegria, ma la cosa che mi piace è anche questo potere che ha dal vivo di trascinare tutti sotto palco a ballare!

La verità è che io non mi sento sul palco, è come se stessimo ballando insieme, secondo me. Mi sento connessa con le persone. E la stessa cosa, per assurdo, si crea anche quando faccio i DJ set, anche se non canto e anche se non metto i miei pezzi, ma li ho tutti intorno, perché mi piace ballare con le persone.

Il tuo modo di stare sul palco mi ricorda il periodo Electroclash dei primi 2000, con Fischerspooner e Chicks on Speed, quel DIY divertente ma studiato. Sei d’accordo?

Assolutamente! Mi piace quel mix di ironia e performance.

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Se avessi più budget, come cambierebbe il tuo show?  

Sarebbe massimalista! Cambi d’abito, ballerini, scenografie pazzesche… Amo Gaga, Björk, FKA Twigs. Con più budget, porterei tutto a un altro livello.

E invece, a livello di moda, chi ti ispira?

Oltre a quelle tre artiste che ho citato… mi ha molto attratto come si è posto nei confronti della moda David Bowie, e anche la Carrà. E poi aspetta, non riesco a ricordarne un’altra… ah, Róisín Murphy. Anche se è stata un po’ controversa negli ultimi anni. Però il fatto che anche lei sia molto ironica nel modo di vestirsi mi è sempre piaciuto.

Invece, come nasce l’ispirazione delle tutine intere che ti stanno benissimo? 

Mi è capitato di mettere una tutina una volta, ed è stato amore da lì. Perché sono comoda, mi copre tutto, ho già fatto l’outfit.

Anche se ci vogliono sei ore a infilarla!

Esatto, è un outfit perfetto, fino a che non devi andare in bagno! E vabbè, però mi piace. La Carrà è sempre stata un po’ la mia ispirazione quando facevo gli spettacoli da piccola in salotto.

Se potessi riarredare lo spazio vuoto dell’ufficio in cui abbiamo scattato le foto, come lo faresti?  

Lo trasformerei in un mondo fantastico, pieno di colori, suoni e creature surreali. Un po’ come la 

mia musica.

Ultima domanda: ultimo album di cui ti sei innamorata?

Davin Darling & the Hulu Bunun: “Mudanin Kata” è un album fatto di cori che mi mette tanta pace.

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Foto @alexvaccani
Styling @alexvaccani @alessandro_marzo
Mua @vanessai.makeup
Production + words @marcocresci_dj412 @giuseppedirosalia

Thanks to:

@tridentmusicofficial
@liltere
@giuliacac@tridentmusicofficial
@liltere
@giuliacaci

ELASI “ELASIR” (Trident Music)