Dai ricordi dei rave anni ’90 alla voglia di sentirsi ancora “una ragazzina” ma con l’esperienza di un’adulta, Meg celebra 30 anni di carriera, cominciata nei 99 Posse e proseguita solista, con un tour e il nuovo EP “Maria”. Meg è un manifesto di libertà creativa con uno sguardo sempre lucido e critico sul presente.
Trent’anni di carriera, eppure la sensazione — ascoltandola parlare — è quella di una debuttante curiosa, ancora affamata di scoperte. Meg festeggia questo anniversario senza retorica, anzi con l’ironia e la libertà che da sempre la contraddistinguono. Un nuovo imminente tour al via dalla sua Napoli, un EP — MARIA — declinato in tre anime diversissime, e lo sguardo rivolto a un passato che non è mai nostalgia, ma radice per andare avanti. Con la musica come terapia, come atto politico, come spazio di resistenza e di comunità. Perché, come dice lei stessa: “Rassegnarsi è l’anticamera della morte”.

Ciao Meg, festeggi trent’anni di carriera. Come ti senti?
Ebbene sì, ho di nuovo 30 anni: sono una ragazzina! Vent’anni fa non avevo ben realizzato cosa significasse compierli, quindi ho deciso di sperimentarli di nuovo (ride, ndr). A parte gli scherzi, dopo i trenta tutto accelera, non ci si ferma mai ed in un battito di ciglia il tempo vola via. Però la mia è una vita intensa e ricca di bei momenti, una vita un po’ pazza se mi guardo indietro, ma vissuta a pieno.
Sapere che ci sono persone che mi seguono ancora oggi è una grande soddisfazione. Quando qualcuno mi scrive che una mia canzone lo ha aiutato a superare un momento difficile o a fare una scelta inaspettata, mi emoziona ogni volta. È una sensazione che non smette mai di sorprendermi — e mi fa sentire utile. Io ho cominciato a scrivere per me stessa, credo che chi fa musica lo faccia per un esigenza, per me è sempre stata una sorta di terapia.
Su Instagram hai ripercorso la tua carriera coinvolgendo i fan con quiz e ricordi. Ti ha aiutato a entrare nell’atmosfera del tour che parte domani dalla tua Napoli?
Certo, gli ho anche chiesto quali canzoni avrebbero voluto ascoltare live, è stato anche un modo per rinfrescarmi la memoria! Ho quindi seguito anche i loro consigli: sarà un excursus vero e proprio nella mia carriera, ma non in ordine cronologico.
A livello scenico invece cosa stai preparando per questi live?
Il mio motto da sempre è “No budget!” e continuo così, facendo di necessità virtù. Avere dei limiti economici, che sia l’allestimento di un live o di un disco, in certi casi è un plus, perché quando hai troppo – soprattutto se stai facendo un album – rischi di strafare e di non finire mai, perché sai che hai la possibilità di fare tante cose, che non sempre però sono necessarie. Quando il budget è ridotto sei invece costretto a ragionare, a ottimizzare per fare tanto con poco.
Per il tour c’è una novità, dopo trent’anni finalmente avrò dei laser nei live! Con me sul palco ci saranno anche Marco Fugazza aka Suor Cristona e Ze in the Clouds, due musicisti che mi accompagnano da Vesuvia.
Il tour avrà un’aspetto più elettronico ed uno più acustico, che sono le anime delle mie canzoni: quelle più intimiste, emozionali e teatrali, come ad esempio Audioricordi, Olio su Tela o Parole Alate, e i pezzi più dancefloor-oriented.
Per celebrare questo anniversario hai pubblicato l’ep MARIA, una canzone proposta in tre versioni totalmente differenti, me ne parli?
Sì, dal titolo poco autobiografico! (ride, ndr) Ci tengo a precisare che sono tre versioni diverse e che non c’è una versione originale o dei remix. Io li considero tre brani differenti, sono state tutte ricantate e le ho intitolate a seconda di chi a lavorato in modo più massiccia alla versione.
C’è quindi la versione Ze in the Clouds perché è stato lui ad occuparsi principalmente della produzione artistica. Ha un approccio alla composizione da jazzista sperimentale, e il risultato è una versione molto, molto introspettiva. Ci abbiamo lavorato insieme anche io e Frenetiko, ed è stato un bel processo.
Poi c’è la versione Vesuvia Sound System prodotta da me, Francesco Fugazza, il fratello di Marco, Suor Cristona e Frenetik&Orang3. Avendoci lavorato tutti ci siamo chiamati così ed è proprio un invito a ballare.
La terza versione invece è prodotta da Carmine Iuvone, un violoncellista sperimentale versatile e poliedrico che ha fatto una versione sanguigna voce e archi. È stata una sua proposta quella di farla così, ma io da napoletana amo gli archi e il pianoforte che sono mélo e teatrali.
Sono cresciuta con questo concetto di grande libertà stilistica. Gli stessi Beatles, che da ragazzina consideravo come un padre e una madre, erano l’emblema di questo: John e Paul facevano dischi completamente diversi tra loro, eppure convivevano nello stesso universo musicale.
Poi sono andata a Londra negli anni ’90 a fare l’erasmus e ho scoperto la drum n’bass, i Massive Attack, Björk, The Prodigy, Morcheeba, i Lamb, ed era ovvio che di ciascun singolo sarebbe uscito il remix, che aspettavo trepidante.
Ricordo che andavo alla Fonoteca di Napoli dove ho speso tutti i miei soldi, erano i miei pusher musicali. Ma era il bello di quegli anni, non esisteva una sola versione di un pezzo, è una libertà infinita che ti apre la mente. Forse l’ultima rivoluzione musicale vera è stata proprio negli anni ’90, sono anni magici che mi hanno formato.

Ricordo che in quegli anni scoprii anche i rave, giravano questi pizzini con un numero di telefono che chiamavi dalla cabina telefonica e ti rispondevano dicendoti il luogo del rave.
Lì ho scoperto il ballare come forma di resistenza e ribellione fuori dal club, che se ci pensi è un luogo istituzionale, per la struttura, i buttafuori, la musica del dj che sarà commerciale. Ad un rave ho sentito per la prima volta Little Fluffy Clouds dei The Orb e ricordo che era l’alba e mi misi a piangere, è una delle mie canzoni preferite di sempre.
Guarda caso, i rave sono di attualità ancora oggi: l’idea di avere una repressione così violenta è assurda, il DDL sicurezza nacque come la legge anti-rave, ma principalmente serviva al governo per contrastare tutta una serie di libertà. L’aggregazione spontanea nel rave equivale all’aggregazione in fabbrica, in piazza, a scuola; questo senso di appartenenza così forte crea dissenso, perché genera controcultura.
Ricordiamoci che il dissenso non è qualcosa di criminale oggi, anzi non esisterebbe una società in evoluzione se non ci fosse un pensiero critico, una cultura alternativa, quindi proprio per questo i governi, non solo il nostro, legiferano per sopprimere le manifestazioni. Forse perché servono?
È un periodo difficile, tutto nero, ma non bisogna rassegnarsi o abbandonare la speranza, altrimenti si finisce a vivere una non vita, la rassegnazione è l’anticamera della morte.
Un anedotto o un ricordo legato a ciascuno dei tuoi album solisti?
Per MEG, il primo album, penso a Carlo Rossi, mio carissimo amico produttore che è venuto a mancare tragicamente lasciando un vuoto enorme tra amici e musicisti perchè tutti volevano lavorare con lui. È stata la persona che più mi ha capito musicalmente, non mi lasciava uscire dallo studio finchè non ero soddisfatta, mi voleva felice, prendeva i dischi a cuore come fossero i suoi.
Psychodelice invece lo ricordo come un disco molto felice dal percorso tortuoso, avevo ripreso a scrivere in inglese e italiano e il management mi ostacolava spingendomi verso l’italiano, mi dicevano che ero pazza. Io entrai in crisi perdendo un anno. Poi mi sono risvegliata dicendomi: “Maria, ma tu fai musica per l’etichetta o per te?” e ho capito che dovevo fare quel che volevo. Sono entrata in studio, mi sono divertita come non mai… e ho mandato quel management affanculo!
Imperfezione lo lego ad un periodo in cui ho abitato a Brooklyn, la musica che ascoltavo, quello che vedevo e il momento che stavo vivendo lo hanno totalmente influenzato. Quello che esploravo mi ha fatto capire che l’imperfezione non è un difetto e da lì è venuto il titolo. Io sono sempre stata un’eterna perfezionista e perdevo un sacco di tempo; capire che nell’imperfezione c’era la verità, la vera Maria, è stato rivelatorio. Anzi è la parte più vulnerabile che è la migliore di noi.
Il ricordo più bello di Vesuvia è stato l’incontro con un nuovo gruppo di collaboratori, che ho citato prima. Dopo la solitudine della pandemia, ritrovarmi circondata da persone con cui c’è sintonia non solo nella musica, ma anche nella vita, è stato un vero dono. Sono diventati amici preziosissimi.
Ultimo album di cui ti sei innamorata?
Gli ultimi di Liberato, Geolier e Mura Musa.
