Dal 18 al 21 settembre Milano celebra il 39° MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer. Toh! Magazine, storico media partner del festival, seleziona i titoli imperdibili di questa edizione.
Dal Piccolo Teatro Strehler al Cinema Arlecchino, passando per la Casa di Quartiere Garibaldi, il 39° MiX Festival trasforma Milano in un laboratorio di cinema, musica e cultura queer.
Sotto la nuova direzione artistica di Lara Vespari e Federico Manzionna, l’edizione 2025 si muove all’insegna del claim-manifesto “ACTION!”: una parola chiave che è insieme invito e atto di volontà, guida di una quattro giorni fatta di grandi pellicole, anteprime esclusive da tutto il mondo, incontri con artistə, registə, scrittori e scrittrici, dj set, musica live e stand up comedy; quì spettacolo e comunità si incontrano per raccontare il presente e immaginare nuovi mondi.
La redazione di Toh! Magazine, rinnova la sua partnership decennale per l’edizione del 39° MIX Festival, scegliendo i film da non perdere, dalle anteprime italiane di “Dreams in Nightmares” di Shatara Michelle Ford, “Cherub” di Devin Shears e “Somewhere in Love” di Morgan Simon con protagonista una fantastica Valeria Bruni Tedeschi, ai documentari che raccontano storie di identità, coraggio e comunità, come “Niñxs” e “Fatherhood”.
Oltre alle proiezioni, il 39° MiX Festival invita a vivere l’esperienza queer anche attraverso la musica tutti i giorni sul sagrato del Piccolo Teatro Strehler dalle 20:30 con dj set e performance tra cui venerdì 20 settembre alle 22 il dj set di Marco Cresci aka DJ412, fondatore di Toh! Magazine.
Special guest della cerimonia di apertura – giovedì 18 settembre alle 20.30 al Piccolo Teatro Strehler, condotta da Manola Moslehi – sarà Paola Iezzi, premiata con il More Love Award, riconoscimento che il MiX assegna a chi si distingue per l’impegno nel dare voce e visibilità alle tematiche LGBTQ+
Con quasi quattro decenni di storia, il MIX Festival rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per la cultura LGBTQ+ italiana e internazionale. Fin dal 1986 ha acceso i riflettori sul cinema indipendente queer, offrendo spazio a storie capaci di celebrare, interrogare e reinventare le identità.
Giovedì 18 sett:
DREAMS IN NIGHTMARES di Shatara Michelle Ford, Stati Uniti, Taiwan – Regno Unito, 2024, 128’ – ore 21:30 Piccolo Teatro Strehler – ANTEPRIMA ITALIANA

Il film d’apertura di questa edizione è della regista Shatara Michelle Ford. che con Dreams in Nightmares, conferma di essere una delle voci più originali del cinema indipendente americano contemporaneo. A partire da un canovaccio familiare — tre amiche in viaggio alla ricerca di un’amica scomparsa — la regista scardina i cliché del road movie per costruire un’opera stratificata, poetica e profondamente politica, senza mai cadere nella didascalia.
Z (Denée Benton), Tasha (Sasha Compère) e Lauren (Dezi Bing) intraprendono un percorso che è tanto geografico quanto interiore, attraversando paesaggi, incontri e ostacoli che rispecchiano le contraddizioni dell’America contemporanea.
Tutte e quattro le protagoniste, inclusa la “fuggitiva” Kel (Mars Storm Rucker), condividono un’identità queer vissuta senza proclami, come parte integrante di esistenze fatte di amore, desideri e fragilità. È in questo gesto di normalizzazione che Ford compie un atto politico radicale: mostrare corpi e vite nere queer che semplicemente esistono e si permettono di fiorire.
Dreams in Nightmar si distingue per la scrittura generosa e per le interpretazioni sfumate: Benton regala un’intensità silenziosa che si imprime nello spettatore, mentre Compère dosa ironia e vulnerabilità con grande equilibrio.
Rucker porta calore e leggerezza, e Jasmin Savoy Brown, in un ruolo minore ma dirompente, regala momenti comici di precisione chirurgica. La fotografia luminosa di Ludovica Isidori e la colonna sonora di Lia Ouyang Rusli completano un mondo visivo-sonoro sospeso tra realismo e sogno.
Dreams in Nightmares è un film che osa. Ford manipola tempo e spazio, mescola commedia e dramma, infonde leggerezza nei momenti più cupi. L’opera diventa così un invito a immaginare altre possibilità di vita, a credere che anche in un contesto ostile possano nascere comunità solide, creative e gioiose. Un viaggio imperfetto ma necessario, che restituisce al cinema indipendente la sua capacità di stupire.
Venerdì 19 Sett:
SAD JOKES di Fabian Stumm, Germania, 2024, 96′– ore 10:00 e ore 20:00, Piccolo Teatro Strehler Lungometraggi

SAD JOKES di Fabian Stumm è un film che sembra respirare con la stessa fragilità dei suoi personaggi. Ambientato in una Berlino sospesa, lontana dalle cartoline da club e più vicina a un’intimità quotidiana fatta di incomprensioni, desideri taciuti e battute che non fanno ridere, il film costruisce un ritratto generazionale disarmante.
Stumm, già noto per un cinema che ama l’incompiuto e l’imperfetto, orchestra una commedia nera che si muove come un collage emotivo: conversazioni spezzate, silenzi lunghi, micro-drammi che esplodono con la leggerezza di un sorriso amaro.
Il titolo è un manifesto: le barzellette tristi sono quelle che raccontiamo a noi stessi per sopravvivere.
Qui il riso non libera, ma graffia, eppure da questa ferita si apre un gesto di verità. I personaggi oscillano tra la paura di restare soli e la necessità di riconoscersi vulnerabili, e il regista li accompagna con una macchina da presa che non giudica, ma osserva, come fosse un amico che resta fino a tardi dopo una festa.
Girato con un’estetica minimale, tra interni claustrofobici e squarci di luce improvvisa, il film sembra dialogare tanto con la tradizione indie europea quanto con la sensibilità queer contemporanea: intimo, diretto, capace di ridere del dolore senza ridurlo. Sad Jokes non è solo un film, ma un invito a prendersi cura della propria tristezza — come fosse la battuta più sincera mai raccontata.
FATHEROOD di G. Benestad e August B. Hanssen – Norvegia, Islanda, Germania, 2025, 77′ – Cineteca Milano Arlecchino – Documentari
ANTEPRIMA ITALIANA

FATHERHOOD di G. Benestad e August B. Hanssen è un documentario che rimescola le immagini canoniche della paternità e le ricompone in un mosaico intimo, vulnerabile, queer.
Tra Norvegia, Islanda e Germania, il film segue la traiettoria di un padre trans che prova a riscrivere il proprio ruolo al di fuori di ogni binarismo, trasformando l’esperienza personale in un atto politico di radicale tenerezza.
Con una durata asciutta di 77 minuti, Fatherhood vibra come un diario visivo: frammenti di vita quotidiana, conversazioni, momenti di silenzio che diventano rivelatori. Lo sguardo dei registi non è mai invadente: accompagna, accoglie, lascia spazio, come se l’obiettivo fosse quello di aprire un varco nell’immaginario collettivo e mostrarci che la genitorialità può avere infinite forme.
L’estetica è sobria, quasi scarnificata, e proprio per questo potente: corpi filmati nella loro verità, paesaggi nordici che diventano specchio di solitudini e resistenze. In filigrana, c’è sempre l’idea che la paternità non sia solo un ruolo sociale, ma un terreno di affetti, cura e possibilità di reinventarsi.
Fatherhood è un invito a immaginare nuovi futuri, dove le parole “padre” e “madre” si contaminano, si trasformano, diventano spazi aperti. Un film che, più che raccontare, accompagna chi guarda a domandarsi cosa significhi davvero amare e prendersi cura.
Sabato 20 Sett:
CHERUB di Devin Shears, Canada, 2024, 73′ – ore 16:00 Piccolo Teatro Strehler, Lungometraggi
ANTEPRIMA ITALIANA

Cherub è un film piccolo, silenzioso eppure capace di farsi spazio dentro lo spettatore con una delicatezza disarmante. Il regista Devin Shears, al suo esordio, racconta una storia apparentemente minima, ma che nasconde una profondità emotiva rara: quella di Harvey (Benjamin Turnbull), uomo grasso e solitario, intrappolato in una quotidianità fatta di gesti ripetuti e di invisibilità sociale.
La scelta stilistica di girare in formato 4:3, con un uso attentissimo dell’inquadratura, restituisce un senso costante di isolamento, come se Harvey fosse sempre al centro ma al tempo stesso escluso dal mondo che osserva. L’assenza quasi totale di dialoghi e la colonna sonora dalle corde percussive amplificano questa condizione sospesa, trasportandoci in una dimensione intima e fragile.
Turnbull tratteggia il protagonista con una delicatezza struggente: il suo sguardo curioso, quasi timido, sugli altri — la ragazza con la mela rossa che pranza accanto a lui, le coppie che si baciano con passione nei giardini botanici, i volti anonimi dei pendolari — diventa lo specchio di un desiderio urgente e profondo: quello di essere visto, amato, riconosciuto.
La svolta arriva quando Harvey, per caso, scopre in un sexy shop la rivista Cherub, dedicata a uomini grossi e ai loro ammiratori. Quelle immagini, lontane dai cliché e piene di corpi che si mostrano senza vergogna, aprono uno spiraglio di possibilità: che anche lui possa avere un posto nello sguardo degli altri, e che il suo corpo non sia solo invisibilità ma anche forza, desiderio, identità. L’atto di inviare un proprio autoritratto diventa così un gesto di liberazione e di empowerment, il primo passo verso una vita meno silenziosa.
Cherub si distingue per la sua grazia visiva: i colori caldi, le luci soffuse, la cura del dettaglio trasformano il film in un piccolo gioiello di umanità. Con soli 10.000 dollari di budget, Shears riesce a creare un’opera che supera in vitalità e precisione formale molti film ben più costosi.
In definitiva, Cherub è una storia intima, ma universale: un inno alla possibilità di trovare amore e dignità fuori dai modelli canonici di bellezza e desiderio. Un film breve, essenziale, che parla piano ma lascia un’eco potente. Uno dei film imperdibili di questo 39° MIX Festival.
NIÑXS di Kani Lapuerta – Messico, Germania, 2025, 93′- ore 19:00 Cineteca Milano Arlecchino – Documentari
ANTEPRIMA ITALIANA

Con Niñxs, presentato in anteprima al Mix Festival, Kani Lapuerta firma un documentario intimo e radicale che ribalta la rappresentazione abituale delle persone trans al cinema. Protagonista è Karla, seguita dal regista per otto anni, dagli esordi dell’adolescenza fino all’ingresso nell’età adulta.
Sin dall’inizio, Karla pone la questione centrale: «Vorrei che il pubblico ridesse, che non fosse il solito film tragico in cui i trans vengono uccisi o compatiti». È una dichiarazione d’intenti che segna l’intera opera.
Lapuerta, anche lui trans, sceglie un dispositivo narrativo innovativo: non un voice over unico, ma un “dialogue-over”, un commento a due voci, in cui regista e protagonista discutono, scelgono, talvolta non sono d’accordo su come raccontare la storia.
Questa forma conferisce freschezza e sincerità, trasformando il film in un laboratorio di autorappresentazione. Il tono resta prevalentemente leggero: vediamo Karla e le sue amiche truccarsi, ballare, girare video su TikTok, vivere momenti di spensieratezza. Ma a spezzare l’idillio interviene l’altra faccia della realtà: la paura concreta di “essere uccisa”, detta da Karla con una naturalezza disarmante.
La forza di Niñxs sta proprio in questa oscillazione tra sogno e minaccia, speranza e vulnerabilità. Lapuerta evita accuratamente di cedere al pietismo, concentrandosi sulla costruzione di una comunità fatta di amore, amicizia e sostegno familiare.
I genitori di Karla, ex punk e spiriti liberi, incarnano una presenza rara e preziosa: adulti che accettano, accompagnano e incoraggiano la figlia. Alcune sequenze, come il dialogo tra madre e figlia su cosa significhi davvero essere donna, possiedono una forza politica quanto poetica.
Niñxs diventa un atto di resistenza cinematografica: mostrare la gioia, la crescita e l’immaginazione di una ragazza trans come una vita possibile e degna, lontana dal sensazionalismo. È un ritratto intimo e collettivo al tempo stesso, che al Mix Festival porta una ventata di freschezza e un invito: imparare a guardare la felicità come strumento politico.
MIX FESTIVAL MUSIC – DJ SET by TOH! Magazine by DJ412 – ore 22:00, Sagrato del Teatro Strehler

Domenica 21 Sett:
THE NATURE OF INVISIBLE THINGS – Rafaela Camelo, Brasile – Cile, 2025, 90′ – Piccolo Teatro Strehler – lungometraggi
ANTEPRIMA TALIANA

THE NATURE OF INVISIBLE THINGS di Rafaela Camelo è un film che sembra inseguire ciò che sfugge allo sguardo: desideri, assenze, presenze fantasmatiche che abitano i corpi e i paesaggi. Coproduzione tra Brasile e Cile, il lungometraggio costruisce un universo sospeso, dove l’intimità si mescola al mistero, e dove il quotidiano viene attraversato da un senso di magia discreta, quasi impercettibile.
Camelo lavora per sottrazione: dialoghi minimi, gesti che restano a metà, scene che sembrano dissolversi prima di compiersi. È proprio in questi vuoti che emerge la forza del film: gli “invisible things” del titolo diventano i segreti che ogni personaggio custodisce, ma anche gli affetti e le fragilità che resistono, pur senza mai mostrarsi del tutto.
La fotografia, calda e materica, alterna interni intimi e paesaggi naturali che sembrano respirare insieme ai protagonisti, trasformando lo spazio in un personaggio a sé.
L’atmosfera richiama certo cinema sudamericano che ama i silenzi e le ellissi, ma Camelo riesce a imprimere una firma personale: sensuale, poetica, a tratti ipnotica.
The Nature Of Invisible Things è un viaggio nella parte sommersa dell’esperienza umana, dove le relazioni non si spiegano ma si intuiscono. Un film che invita a rallentare, a lasciarsi attraversare, a credere che ciò che non si vede possa avere la forza di cambiare il nostro modo di stare al mondo.
SOMEWHERE IN LOVE di Morgan Simon, Francia, 2024, 97′′ – 21:45 Piccolo Teatro Strehler – Fuori Concorso
ANTEPRIMA TALIANA

Con SOMEWHERE IN LOVE (Une vie rêvée), Morgan Simon firma un secondo lungometraggio presentato in anteoprima italiana al Mix Festival, che affronta un tema poco frequentato dal cinema francese contemporaneo: il declino sociale e personale di una donna di oltre cinquant’anni.
Protagonista è Nicole, interpretata da una straordinaria Valeria Bruni Tedeschi, madre single, disoccupata e sommersa dai debiti, che vive in una banlieue parigina insieme al figlio Serge, ormai insofferente nei suoi confronti. L’esistenza della protagonista sembra un lento scivolare verso il nulla, ma Simon costruisce una traiettoria narrativa che, pur partendo dal buio, cerca spiragli di luce, amore e resilienza.
Il film colpisce per la delicatezza con cui affronta il tema del déclassement, radicato anche nella biografia del regista.
Simon non si limita a una denuncia sociale, ma trova nell’intimo, nell’affettivo, il terreno più fertile: la solitudine, il rapporto conflittuale con il figlio, la dignità ferita di chi deve ricominciare da capo. Bruni Tedeschi, lontana dalle caricature, restituisce un ritratto autentico, fragile e potente al tempo stesso, capace di incarnare un mondo che non è il suo ma che riesce a far vibrare con verità.
Non mancano i rischi: in alcuni momenti, la sceneggiatura indulge in passaggi prevedibili, e l’evoluzione verso un lieto fine rischia di attenuare la forza drammatica iniziale. Tuttavia, la regia sobria e rispettosa, unita alla capacità di lasciare spazio agli attori, conferisce al film una sincerità rara.
La scelta di dare centralità a una donna non più giovane, proveniente da un ambiente popolare, è un gesto politico oltre che narrativo, che dialoga con la letteratura di Édouard Louis e con un cinema che prova a raccontare “dal basso” senza paternalismi.
Une vie rêvée non è un film perfetto, ma è necessario: mescola autobiografia e invenzione per restituire dignità a un’esperienza spesso invisibile, quella del declino sociale. È una storia di cadute e resurrezioni, che ricorda come anche nei luoghi più grigi possa germogliare la possibilità di una nuova vita.
