La Rappresentante Di Lista è uno slogan per la libertà.

La Rappresentante Di Lista è una band schierata, tanto che mi sentirei ridicolo nel chiedergli cosa ne pensa del DDL Zan. Loro sono un’isola accogliente come un ventre materno, ma allo stesso tempo vero e crudo come il mondo che ci troviamo davanti quando lo abbandoniamo. My Mamma è un manuale d’uso alla sopravvivenza, che rivendica libertà in un mondo sempre più intollerante.

Se li avete conosciuti a SanRemo meglio tardi che mai, ma Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina aka La Rappresentante Di Lista, da dieci anni cercano di dare uno scossone alla musica Italiana. My Mamma, è il loro quarto album in studio, anticipato dai singoli Alieno e Amare è un inno all’amore che sarebbe stato la colonna sonora perfetta per il Pride che non ci sarà.

La Rappresentante Di Lista
La Rappresentante Di Lista – My Mamma – artwork by Manuela Di Pisa

Veronica e Dario si incontrano in teatro a Palermo: lei è toscana ma dopo questo fatidico incontro la Sicilia diventerà la sua nuova casa. La musica de La Rappresentante Di Lista è viscerale, contaminata, libera da ogni schema. Ti fa ballare, piangere, riflettere e sfogare, sarà che si sono conosciuti su un palco dove le emozioni fanno da padrone.

Proprio per questo motivo abbiamo deciso di fotografarli a Milano dentro un teatro vuoto, perché purtroppo è ancora chiuso causa pandemia, unita a leggi ingiuste e diritti negati a certi settori.

Con la speranza che presto, sia attori che musicisti, possano tornare ad esibirsi e noi ad occupare quelle poltrone, che vuote sono la triste testimonianza di un percorso al buio che ancora non vede luce, vedere i volti di Veronica e Dario illuminarsi mentre entrano in sala e l’energia che ci hanno trasmesso, ha infuso in noi un po’ di quella speranza che stavamo quasi perdendo.

La Rappresentante Di Lista
ALL CLOTHES BY VALENTINO

Ciao Ragazzi come state?

Veronica: Bene! si abbastanza bene, siamo in studio a lavorare su nuova musica, non potendo fare concerti, si prova e si scrive…

Quindi la stanza che vedo nelle vostre IG stories è uno studio? Perchè con tutti quei poster di concerti appesi sembra il camerino di un locale!

Dario: Perchè è il backstage di un locale!

V: E’ sia un locale che uno studio. sono I Candelai di Palermo in via Candelai una via con la quale si potrebbe descrivere tutta la città. 

D: Al piano di sopra del locale c’è questo studio dove noi praticamente abitiamo, non ci dormiamo, ma la maggior parte del nostro tempo lo passiamo qui.

Quando avete cominciato a scrivere l’album c’era un’idea precisa o è frutto di un percorso nato canzone dopo canzone?

V: Non abbiamo mai una regola scritta con cui cominciamo un album, infatti alcune canzoni che sono finite in My Mamma sono state scritte tempo prima che pensassimo di concepire un disco che avesse un senso per noi, con una drammaturgia alle spalle. Però quando ci siamo messi seriamente a pensare a My Mamma avevamo una storia di riferimento, avevamo immaginato prima il racconto che doveva stare di sottofondo alle canzoni, e questo racconto ci veniva un po’ in soccorso quando non sapevamo come svoltare un ritornello o non trovavamo delle parole adatte alle canzoni.

D: Un racconto che nessuno conosce ancora e che è rimasto sepolto in una cartella su Google Drive.

V: Era un canovaccio che in qualche modo riuscivamo a seguire a senso nostro, procedevamo nella scrittura seguendo questo filo conduttore. Per noi alcune canzoni sono cantate dalla protagonista, altre dall’antagonista, alcuni momenti del disco sono legati a scene che immaginavamo come scene cinematografiche.

D: Abbiamo riempito dei muri con fogli pieni di appunti cercando di creare il puzzle che poi sarebbe diventato My Mamma. Però con questo album a differenza di Go Go Diva in cui tutto ci è apparso chiaro a disco ultimato, avevamo già in testa che doveva essere un disco che parlasse di crescita e di eredità nel senso di lascito al mondo. Essendo noi in una fase dei trent’anni che è una fase in cui continui a chiederti: “Quando diventeremo adulti?” e quindi cosa vuol dire crescere e affrontare le relazioni e le separazioni.

Nei formati fisici di My Mamma ci sono tre tracce strumentali: Preludio, Lavinia e Invasioni che avete escluso dalla tracklist presente nelle piattaforme digitali. Come mai questa scelta? Trovo che diano un atmosfera differente, più evocativa, ti fa fare un viaggio differente.

D: Per noi sono tre tracce fondamentali perché secondo noi il disco è quello fisico, è un modo per chiedere alla nostra fan base di sostenere questo supporto. A riguardo cito sempre un libro di David Byrne “Come Funziona la Musica”, in cui racconta un episodio che mi è rimasto impresso in cui spiega come è cambiata la musica quando dalle chiese è passata ai palazzi nobiliari, e quindi come sono cambiati gli ambienti. Non c’era più il grande riverbero della chiesa, c’erano i grandi saloni ed è nata così la musica barocca. Nello stesso modo i cd o i vinili rispetto al digitale, cambiano il modo di fruire la musica, ma credo che bisogna essere malleabili nei confronti di questi supporti e quindi abbiamo fatto questa distinzione tra musica fisica e musica digitale.

V: A parte che il vinile è bellissimo, l’immagine di copertina lo rende bello da possedere come oggetto ed è un invito a dedicare a un disco il tempo giusto, cosa che sulle piattaforme digitali non accade, almeno questo è quello che credo io, poi dipende da persona a persona, ma come parte la traccia strumentale tendi a skipparla. 

La Rappresentante Di Lista

In My Mamma avete fatto un grande lavoro sulla voce, mi piace che sia cristallina e forte e poi pitchata e distorta come in Alieno che ha una produzione fantastica, o Resistere con il famoso slogan “No armi, no guerra, no violenza” che per altro ho letto sul vostro IG che un fan pensava fosse un uomo a cantare e invece è Veronica. Mi piace questo sovvertimento dei ruoli anche nell’uso delle voci, come ci avete lavorato?

V: Ogni volta cambiamo approccio per un nuovo disco, perché è una cosa che cerchiamo sempre di fare anche al lavoro e nella ricerca musicale, ci piace indagare qualcosa di nuovo. In questo caso le voci erano un elemento che andava indagato fino in fondo. Se in Go Go Diva non c’eravamo spinti tanto ma c’eravamo concentrati molto sulle evoluzioni musicali, le voci erano ad oggi un territorio quasi inesplorato, soprattutto in questa chiave in cui le abbiamo distorte, deformate, usando voci molto acute, cristalline, brillantissime, quasi da sembrare bambine. E poi tirare invece fuori una carica potente, terrena, viscerale e allo stesso tempo anche modificarsi la voce, non essere per forza legati alla propria, ma cambiare identità e faccia.

D: E’ un percorso legato a quel discorso di drammaturgia per cui ogni brano è un personaggio diverso di età differenti. Ricordo a volte le perplessità di Veronica che mi diceva: “Ma qua sembro una bambina” e poi ci siamo resi conto che era giusto farla sembrare così, cantando il ritornello di Oh Ma Oh Pa per esempio. E poi c’era la voglia di stupirci divertendoci, di giocare con i pitch, cosa che fino ad ora non avevamo mai fatto, perché solitamente Veronica arriva in studio, registra la voce e al 99% è buona la prima. Anche i cori di Resistere o Mai Mamma sono stati il risultato di un incontro con un gruppo di attrici a cui abbiamo chiesto di interpretare i cori. Sono dieci donne che urlano Mai Mamma, donne anche madri. Fragile invece doveva cantarla Veronica e l’ho fatto io.

V: Sì era come se la canzone non mi avesse scelto per interpretarla e ci sta. 

Avete citato Oh Ma Oh Pa, e vi devo confessare che la prima volta che l’ho ascoltata quando è partito il ritornello con la sua apertura imponente ho pensato a Sia, quali sono i riferimenti del brano?

D: E’ un bellissimo riferimento ma in realtà quello vero è un brano dei London Grammar che si intitola “Control” .

V: Sia l’abbiamo comunque ascoltata un bordello.

Quando componete in studio, andate d’accordo o vi scontrate? Ve lo chiedo perché penso che avete due personalità molto forti.

D: Diciamo che ci scorniamo finché non andiamo d’accordo! Le parti ritmiche sono quelle su cui ci scontriamo di più, mentre la parte armonica ci trova sempre più d’accordo. Quello della scrittura, che dovrebbe essere un momento creativo idilliaco, invece è spesso contraddistinto dall’ansia.

Noi siamo un grande collettivo perché oltre noi due c’è Roberto Cammarata che ci aiuta nella produzione, i musicisti, chi fa la regia, l’etichetta, c’è un mondo che si è costruito attorno a noi in questi anni e questo mondo funziona perché noi scriviamo canzoni. E quando non produciamo penso a tutto questo ingranaggio che si ferma ed è abbastanza pesante, poi lo affrontiamo in maniera collettiva e quindi troviamo sempre il lato bello. La parte creativa è la più bella, compresi tutti i suoi sbagli. 

V: Facciamo grandi litigate, non ci parliamo, poi uno si avvicina all’altro propone qualcosa e tutto passa. 

La Rappresentante Di Lista

Prima mi avete detto che My Mamma si scosta dal suo predecessore Go Go Diva. Io credo che My Mamma sia un album pieno di slogan, forse per questo mi viene naturale accostarlo a Bu Bu Sad. Qual è il vostro punto di vista? 

V: Devo dire che ti possiamo dare ragione, perchè anche noi qualche tempo fa riflettevamo proprio su questa cosa. Erano inni generazionali, erano racconti rispetto ad alcune relazioni, condizioni imposte dalla società e c’era una coralità.

D: Bu Bu Sad è un disco che parla tanto di noi, mentre Go Go Diva ha un titolo che parla chiaro: aveva una diva come protagonista, che non è solo Veronica, sono io, sei tu, siamo tutti noi o comunque chiunque si identificava in quell’individuo.

V: C’era la volontà di determinarsi, quindi di concentrarci molto su un percorso personale di consapevolezza. Con My Mamma abbiamo avuto bisogno di nuovo di quella collettività, di quel “noi”. Ancora una volta ci siamo resi conto che metterci insieme tutti sotto una grande bandiera che porta una slogan potente, metterci la faccia e unirci nel dire le cose ha ancora un senso. È un ciclo che è tornato.

D: Io ricordo che Bu Bu Sad nasceva anche da un’esperienza collettiva al Teatro Garibaldi di Palermo, che abbiamo occupato nel 2012 e li eravamo nell’onda lunga di un percorso collettivo che stavamo veramente vivendo, ed è stato il momento in cui ci siamo aperti ad altri musicisti. Oggi stiamo rivivendo qualcosa del genere, dopo un processo necessario di chiudersi in se stessi, anche per ritrovare consapevolezza, crescere come artisti e come profilo nell’immaginario di chi fa musica in Italia. 

La Rappresentante Di Lista

My Mamma è scritto con il MY in inglese e poi la traccia Mai Mamma scritto in italiano: vi piace giocare con le parole ma sembra che la figura dei genitori viene fuori spesso dai vostri testi. Ce ne parlate? 

D: Noi abbiamo un problema insoluto con tutte le relazioni della nostra famiglia.

V: I genitori sono sempre un terreno fertile per scrivere nuove canzoni. Madri, padri… porca miseria!

D: Ieri stavamo scrivendo e a un certo punto Veronica biascicava parole su una canzone nuova, quando le è uscita la parola mamma, ci siamo guardati e abbiamo detto: “però basta!” (Scoppiano a ridere. ndr) Sarà anche che è una parola facile come la lallazione nei bambini: la la la ma ma ma e poi è anche musicale come termine. C’è un po di Sud nella famiglia.

V: Non solo, perchè io non sono proprio del Sud. In realtà penso che siamo questa generazione di trentenni che, porca miseria, siamo caduti male dopo aver preso un po’ di botte e che in qualche modo credo trovassimo un po’ di colpe in quelle che sono le figure dei nostri genitori, che ci hanno lasciato un futuro traballante, o per lo meno così è come mi sento io.

Un po’ perchè le mie più grandi sfide sono state con i miei genitori, i miei primi maestri di vita, quindi ci sono delle cose che gli rimprovero e altre che rimprovero a me stessa per il fatto di rimproverargliele.

Prima Dario accennava al fatto che l’album parlasse di crescita ed eredità, perché ci si confronta con quello che ti hanno lasciato, e quello che in qualche modo si inizia a dover lasciare a chi viene dopo di te, che non per forza sono figli, anche perché noi non siamo genitori. Ci sono sempre questi interrogativi che ti saltano alla testa, chissà se diventerò mai madre e se ha senso avere dei figli oggi. 

D: In qualche modo è uno scontro con il modello maschile e femminile: se penso a Resistere il padre non è il mio o il tuo, ma è il patriarcato. È facile in un dialogo all’interno di una canzone, però è anche possibile leggere queste figure come simboliche. 

V: Ma anche semplicemente simbolo di una divisione troppo netta che è stata fatta, per cui ad oggi non riesci a riconoscerti in quell’unico schema possibile e quindi c’è anche un aver voglia di tirar giù quelle statue imponenti che arrivano dall’alto quando sei piccolo, che comunque pur avendo la famiglia più mentalmente libera possibile, in qualche modo assorbi dalle famiglie degli altri. 

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Mai Mamma è uno dei miei pezzi preferiti, ci sento dentro riferimenti ad artisti che mi piacciono come Missy Elliott, M.I.A e Le Tigre. Sarà per l’attitudine punk: voi cosa avevate in mente quando l’avete scritta?

D: Avevamo in mente due riferimenti grandi per quel pezzo: uno è il  2° coro delle lavandaie, un pezzo bellissimo di un’opera teatrale che si chiama La Gatta Cenerentola e l’altro è un brano che si chiama NY Excuse, tratto dalla colonna sonora di Belgica curata dai Soulwax.

Pierpaolo Piccioli e tutto il team Valentino ha contribuito in modo più che significativo alla chiara intensità delle vostre performance a Sanremo, ma anche nel nostro shooting. Come è nata la vostra relazione con la maison?

V: Negli ultimi anni abbiamo visto molte sfilate di Valentino sotto la direzione di Piccioli, e ci sono delle figure che ci sono veramente rimaste impresse, come la collezione couture of Grace and Light dove c’erano questi abiti appesi lunghissimi, giganti, dalle forme a nuvola.

Poi me ne ricordo un’altra sempre molto performativa, con scenografie incredibili e musica dal vivo: sembrava davvero di assistere ad uno spettacolo, anche se noi non l’abbiamo mai vista live. In video però era super suggestivo.

I tessuti dei suoi abiti sono sempre molto teatrali perché rispondono ai movimenti del corpo come fossero uno spazio d’abitare, o una bellissima architettura da portarsi in giro.

Questo aspetto ci ha molto entusiasmato, così li abbiamo contattati e seppur ci sembrava impossibile ci hanno risposto e gli abbiamo proposto un moodboard molto bello, creato insieme a Manuela Di Pisa, che poi è la stessa che ha creato la cover di My Mamma. 

D: Nel moodboard, spiegavamo i temi che ci sarebbe piaciuto affrontare con gli abiti: quindi la fluidità, l’attivismo con una serie di riferimenti che evidentemente sono piaciuti e hanno accettato. 

Noi siamo abituati a indossare abiti teatrali e costumi, sono strumenti per la scena. Una possibilità in più che dai al tuo corpo per esprimersi. Noi questo cercavamo da Valentino, l’utilizzo di colori netti che fossero quasi delle bandiere, diverse nuance di rosso, arancione e fucsia, fino ad arrivare al bianco che era come una tela immacolata, che era quella di cui parlavamo quando abbiamo iniziato a comporre questo disco.

La Rappresentante Di Lista

LRDL da sempre si definisce una Queer band. Toh! Magazine è un giornale schierato come voi e viene definito spesso “troppo esposto, troppo schietto” nel momento in cui viene presentato un progetto ad un brand. Poi arriva il Pride month e veniamo inondati di abbigliamento dal dubbio gusto con una Rainbow flag cucita sopra, cosa ne pensate?

V: E’ molto interessante questa cosa, è un pò come quello che sta accadendo ai teatranti che diventano artisti stagionali, e sembra che per tirare fuori determinati temi deve esserci il momento giusto, come le feste programmate, l’8 marzo o la festa nazionale del teatro. Noi detestiamo questi appuntamenti politici, è odio totale. Bisognerebbe esporsi sempre con naturalezza

D: È come il polverone alzato in questi giorni sul DDL Zan: mi viene quasi difficile espormi, ma non perché non mi va di farlo, ma perchè lo faccio da sempre. Effettivamente poi ci siamo resi conto che il mainstream non funziona così, tutta l’informazione sopra una certa soglia funziona a ondate. È lo stesso motivo per cui ogni tanto si parla di migranti, poi si parla di femminicidi, poi si parla di pandemia. Purtroppo è il meccanismo del sistema dell’informazione. 

V: L’unica difficoltà che mi sento di sottolineare è quando Queer è applicato alla musica e quindi il non etichettarsi e non darsi un genere, in alcune situazioni è stato difficile da spiegare.

Ci piaceva l’idea di spaziare da un genere all’altro, mettere in una sola canzone tre stili anziché solo uno, potere insomma, essere liberi. Ma perseverando alla fine questa è diventata la nostra cifra. 

D: Io mi espongo su cose che penso dovrebbero essere normali, mi viene difficile parlare di antifascismo, antirazzismo, lotta all’omotransfobia in questo mondo, perché sono concetti che dovrebbero essere alla base della società. Non so come dire.

Anche se non ci piacciono le feste programmate a me spiace un sacco che anche quest’anno non ci sarà la parata del Pride, perché sono convinto che Amare sarebbe stata la colonna sonora dell’intero evento.

V: Madonna, che bello che sarebbe stato!

Quando abbiamo scattato lo shooting a teatro vi siete emozionati, quanto vi manca il palco? 

V: Ci manca da morire, perché l’abbiamo conosciuto e l’abbiamo vissuto e sappiamo cosa significa e poi perché è soprattutto un arte libera.

D: Si, perché crediamo che sia il vero momento in cui la musica prende vita e assume un significato. 

WORDS BY MARCO CRESCI
PHOTO BY SIMON
STYLING BY ALEX VACCANI
HAIR BY GIOVANNI ERROI @greenappleitaly.com
MAKE UP BY JO SANNA @greenappleitaly.com using Agenov
STYLIST ASSISTANT: ALESSANDRO MARZO
VIDEO BY SIMON + SIMONA PAVAN
COORDINATOR: GIUSEPPE DI ROSALIA
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