Quando si parla di essenziale spesso si attribuisce l’assenza di contenuto, di storia e di memoria. L’arte di Guillermo Martín Bermejo è tutto tranne che priva di contenuti e di forti significati.
Una narrativa raffigurata, una poesia sublime che affonda dentro una lunga serie di ricordi che ci trasportano al passato. Un passato dolce, a tratti macchiato dall’eros. Guillermo è un artista con un trascorso artistico e personale ricco che non ha bisogno di essere raccontato a voce ma bisogna viverlo nelle sue opere, osservandole e leggendole tra le parole scritte nelle sue poesie. Guillermo infatti è anche uno scrittore che debutta con il suo primo libro di poesie. Testi che vanno a congiungersi con l’arte dei suoi dipinti in vecchi fogli di carta, donandoci momenti di pura cultura visiva e letteraria di cui abbiamo sempre bisogno.
Quando hai scoperto la passione per l’arte?
Non è stata una scoperta. L’arte è sempre stata con me dà quando ero molto piccolo. Mia madre era un’illustratrice e mio padre un editore.
Mia sorella e io abbiamo sempre avuto l’arte intorno a noi quando eravamo piccoli. Per me l’arte è una necessità fisiologica come mangiare o dormire. Non posso vivere senza disegnare.
Quello che ho scoperto sono i miei gusti personali, li stavo pulendo. Ero sedotto da certi artisti e ne odiavo altri. Il mio amore per i classici è qualcosa che ho educato attraverso i miei sensi. Mi emoziono con un Cimabue, un Van der Weyden o un Corot. D’altra parte ho freddo con un Duchamp o un Warhol.
Chi è Guillermo, ci parli un po’ di te?
Sono nato a Madrid cinquant’anni fa e ho vissuto molto in questa bellissima città. Ho vissuto a Berlino, a Basilea, a New York… Ora vivo e lavoro a Mentone, in Francia. Molto vicino all’Italia. Non ho mai avuto uno studio fisso come altri artisti.
Sono come Rilke che è sempre stato portatile, vagabondo nel mondo. Raccolto da “mecenas” e amici.
Sono una persona che ama la semplicità, la vita senza clamore.
Ma non sopporto il maleducato e lo sgradevole.
Dammi un tramonto sul mare o un’alba sulla montagna, un buon bicchiere di vino e una chiacchierata con gli amici. Un buon libro e un buon film classico e sono già felice.
Com’è nata la scelta di disegnare su dei vecchi fogli?
Sono sempre stato un collezionista di libri antichi. Amo andare nei vecchi mercati e nelle librerie a frugare tra cassetti e scaffali. Sono sempre stato molto dispiaciuto per quei libri rotti e in frantumi che nessuno vuole più. Da lì è nata l’idea di dare loro una nuova vita. Inoltre, la patina che hanno della vita e della storia è incredibile. I disegni realizzati su questi fogli aprono un vuoto temporale. Diventano senza tempo.
Le teste dei soggetti illustrati sono spesso in risalto, più grandi, come mai?
Di solito deformo i volti, i corpi delle figure che disegno, ma molte volte è qualcosa d’inconscio. Lo faccio senza rendermene conto. È così che faccio mie quelle facce. Diventano qualcun altro.
In base a cosa scegli chi illustrare, chi sono i soggetti?
Molte volte sono persone che conosco o che mi interessano per via dei loro volti diversi e originali. Altri sono personaggi storici che mi porto dietro dal passato, tante volte dimenticato, per riscrivere la loro vita e riportarla alla mia esperienza personale.
Cerco la bellezza fuori dai canoni di oggi.
Sono più interessato alle orecchie grandi e allo sguardo triste che a un ragazzo o una ragazza perfetti.
Che rapporto hai con la letteratura?
Totale. Dico sempre che i miei disegni sono poesie disegnate. È un’altra forma di scrittura. Molte volte la mia poesia e i miei disegni si mescolano.
L’uno non può vivere senza l’altro.
Per me la letteratura è una continua fonte d’ispirazione. Forse molto più della pittura o della scultura.
Hai appena pubblicato un libro di poesie, ce ne parli?
È un diario poetico di diversi anni. Finalmente è il mio primo libro di poesie, ho iniziato a scrivere ciò che non so disegnare. È una sorta di complemento ai miei disegni. Sono piccoli tratti trasformati in parole. Piccoli sguardi dei miei pensieri ed esperienze.
Cosa manca secondo te nel panorama artistico contemporaneo?
Credo che l’arte contemporanea stessa sia uno stile e io non ne appartengo.
Ma se mi chiedi di quello stile, ti direi che gli mancano molte cose: modestia, rispetto, silenzio.
Amando il piccolo, basta gigantismo!
Coerenza, bellezza, figurazione, atemporalità.
Cosa ti affascina maggiormente della società?
Quei volti che vedo per strada, quelle storie d’amore minimali.
La sincera amicizia.
Cosa ti infastidisce?
La maggior parte delle cose.
La realtà mi spaventa. Preferisco creare il mio mondo.
Come stai trascorrendo l’estate?
Noi artisti nonostante la credenza popolare, non abbiamo vacanze. Stiamo sempre lavorando. Ora sto preparando due mostre per settembre. Una ad Anversa e una a Madrid.