Il primo album di HÅN s’intitola “projections on a human screen” , dopo averci conquistato con il suo synth pop dilatato in una serie di singoli e due EP, è arrivato il grande momento.
Giulia Fontana aka HÅN cresce vicino al Lago di Garda, in attivo dal 2017, ha registrato il suo debutto tra la sua cameretta di Londra e Milano, un diario aperto sulle sue emozioni, cantato rigorosamente in inglese. Un’evasione alla ricerca della libertà creativa e fisica, che vibra in ogni canzone. Abbiamo scambiato due chiacchiere con lei:
Ciao HÅN come stai?
Tutto bene, sono a casa, oggi sarà una giornata impegnativa e poi andrò a prendere le t-shirt per il mio primo merchandise e quindi sono curiosa, e poi mi sto preparando per il live di venerdì, (Hån suonerà il 15/04 all’Arci Bellezza di Milano per presentare dal vivo il suo primo album “projections on a human screen” n.d.g.).
Le tue cover sono sempre popolate da bellissime illustrazioni, deduco che le t-shirt andranno di pari passo, chi le ha disegnate?
Le illustrazioni sono di Dario Pasqualini che ha curato anche la cover dell’album mentre la stampa è a cura di Legno, le abbiamo stampate fronte/retro, non vedo l’ora di vederle!
Parliamo dell’album so che è nato in lockdown, come ti ci sei approciata?
L’ho scritto prevalentemente da sola in camera, è un album personale perchè è come se fosse il mio diario. Mi sono ritrovata a Londra nel mezzo della pandemia in pieno lockdown, quindi la mia cameretta è diventato il mio spazio safe per scrivere e pensare, che poi faccio sempre così, ma si è accentuato con le situazioni che ho vissuto. Avendolo scritto in solitaria è per forza personale.
Si sente che è stata la tua scappatoia alla situazione che stavamo vivendo tutti, è un album molto libero, aperto e mette di buon umore, non è cupo come si potrebbe pensare se accostato al contesto in cui è stato creato.
Assolutamente, non è per nulla un album triste, il suono è intimo perché scritto in solitaria ma decisamente up. Io ti parlo della scrittura ovviamente perché poi lato produzione è stato uno scambio tra me e Giorgio Pesenti degli Iside e ho lavorato anche con KiLLOWEN che è l’unico feat. del disco in “Bycicle” la traccia che lo apre. Lui è un prducer/songwriter di Londra, una delle prime persone che ho conosciuto quando mi sono trasferita lì, con lui ho prodotto “Bycicle” e “Chiro”. Un po’ a Bergamo, un po’ a Milano, un po’ a Londra e la produzione è stata fatta quà e là tra amici.
Spiegaci il titolo, che trovo poetico; “projections on a human screen”:
E’ un po’ complicato, ti faccio un esempio: io sono nella mia camera che è il mio mondo e poi ci sono gli eventi esterni che si riflettono su di me e io reagisco a questo nell’album. Faccio fatica a spiegarlo ma penso che sia il disco a doverlo fare.
Sei italiana ma canti in inglese e fai un tipo di musica esterofila, come ti senti nel panorama italiano, un outsider?
Sì ma nell’eccezione negativa del termine, recentemente ho provato anche a scrivere in italiano perché molte volte mi è stato detto di provare a farlo, ma non me la sentivo, non mi veniva naturale. Ora sto provando a processare questa cosa perché capisco che con la scena indie italiana che è molto viva e densa di cose interessanti, sia più facile immedesimarsi per le persone se canti in Italiano. Ci sono progetti italiani che cantano in inglese come Birthh o LIM anche se nell’ultimo album qualcosa d’italiano c’è.
Non mi sono mai spiegata il perché ma c’è un coinvolgimento nettamente minore nel pubblico se un italiano canta in inglese, anche se poi gli stranieri li vanno a vedere. Ma il mercato musicale italiano è una bolla, non è contaminato come può essere in Germania, ha le sue regole e se canti in una lingua straniera sei in una terra di mezzo tra l’estero che è un’enorme oceano e l’Italia. Mi sento in un limbo. Se canterò in italiano sarà solo un’esigenza di connessione con il pubblico.
Con quale musica sei cresciuta?
Da bambina ascoltavo il pop becero tipo Miley Cyrus poi ho scoperto il rock con i Led Zeppelin, poi è stato il momento Paramore e successivamente sono arrivata ai Radiohead di “Ok Computer” e mi hanno aperto un mondo, poi anche cose elettroniche tipo Bonobo, Lapalux, Dream Koala, Koreless, quella corrente un po’ chill. L’ascolto epocale che ho avuto e che mi ha dato una svolta a livello artistico ed emotivo è stato Bon Iver.
L’ultimo album che ti è piaciuto invece qual è?
“Absolutely” di Dijon e poi c’è una ragazza bravissima, Saya Grey, che ha fatto solo tre pezzi ad oggi. Era la bassista di Daniel Caesar e ora ha firmato per la Dirty Hit e fa musica acustica ma non classica, tutta rovinata e strapotente senza riverberi, mi piace un sacco.