“The Power in Us” è l’album di debutto di Poppy Ajudha, un viaggio che spazia tra rock, soul, pop e che nei testi affronta argomenti come la salute mentale, i diritti delle donne, le relazioni tossiche e la pressione di essere una donna oggi.
L’east londoner Poppy Ajudha si è subito distinta per le tematiche coraggiose delle sue canzoni, uno dei suoi primi singoli “Tiepid Soul” del 2017 è una poesia/canzone sull’identità di razza mista e il suo ultimo singolo, “PLAYGOD”, è un inno rock femminista ispirato al progetto di legge sull’aborto in Alabama e difende i diritti che stanno cercando di essere sottratti alle donne.
Nata da madre britannica/caraibica e da padre inglese, Poppy Ajudha parla apertamente e con orgoglio della sua eredità mista e non ha paura di affrontare argomenti delicati, che vanno dal razzismo, all’oppressione di genere e alla sessualità.
Tematiche presenti nel suo album di debutto, “The Power In Us”, uscito il 22 aprile scorso, un LP di 12 tracce coraggioso e che farà discutere oltre, si spera, ad innescare conversazioni tra i giovani. L’abbiamo intervistata:
Ciao Poppy, intento grazie per aver riportato le chitarre nel pop!
(ride ndg) Grazie, ma sai che non è stato intenzionale? E’ stato lo sviluppo delle tematiche dell’album che mi hanno portato in questa direzione, parlo di femminismo, politiche sociali o anche di commenti sulla società, volevo che l’album fosse coeso nei testi, mi sono trovata anche a scartare canzoni perché uscivano da quello che avevo in mente, non fittavano con il resto. Questo progetto parla di vedere il mondo in un modo diverso.
“WHOSE FUTURE? OUR FUTURE!” la traccia che apre l’album contiene la clip tratta da un discorso della leader dei diritti umani e civili Angela Davis. Consideri l’album una chiamata alle armi per combattere per i nostri diritti e la nostra libertà?
Si! E’ una chiamata che vuole esortare le persone a pensare più profondamente perché vogliono farlo, non perché qualcuno glielo ha detto. Le normative sociali di ogni cultura non tendono a porsi domande su come viviamo, e questo è opprimente per molte persone, non ci aiutano a vivere felicemente la nostra vita, ne a raggruppare diversi tipi di persone, vogliono omologarci.
Mi piacerebbe che le persone che ascoltano il mio album si rendano conto che possono essere chi vogliono davvero senza finzioni o modelli imposti. Spesso è la tua famiglia stesse, la scuola o la tua cultura ad importi chi devi essere e questo non deve più succedere, puoi reinventare te stesso in ogni momento, devi capire che hai questo potere.
E una volta capito puoi trasmettere questo potere ad altre persone esortandole ad aprire di più la mente e a cambiare in qualche modo. So che suona come un cliché dire che voglio cambiare il mondo, ma credo che se non volessimo farlo, se non volessimo creare qualcosa di buono che dura più di noi, mi chiedo: cosa resterà? Non saremo vivi in eterno, quindi credo valga la pena provarci.
Vorrei che le persone fossero più compassionevoli, più disposte ad ascoltare e a comunicare, perché se ognuno di noi fa anche un a piccola cosa il mondo può davvero cambiare. A volte ci dimentichiamo il potere individuale che abbiamo.
Sento molta rabbia nel disco, quali erano i tuoi sentimenti mentre lo scrivevi?
Se canto del voler cambiare qualcosa che mi opprime non posso non essere arrabbiata. Ogni canzone nasce da un’emozione profonda, non riesco a scrivere pezzi che non hanno un significato per me, sto parlando di cambiamento sociale, quindi c’è molta disperazione. Parlo di femminismo, di equalità di genere, “LONDON BURNING” parla della Brexit, quando l’ho scritta ero disperata, mi sentivo manipolata da questa decisione, come molti altri cittadini inglesi.
Penso che “PLAYGOD” e “MOTHERS SISTERS GIRLFRIENDS” abbiano una tematica comune, me ne parli?
Sì non ti sbagli, “PLAYGOD” è stata ispirata dalle leggi sull’aborto e sul controllo del corpo femminile, ma il nodo della canzone è prendersi le proprie responsabilità e rialzarsi in piedi da soli e non l’uomo che si assume la responsabilità per quel ruolo perpetuando il sessismo.
“MOTHERS SISTERS GIRLFRIENDS” parla della stesso argomento ma da un’altro punto di vista, voglio dire smetti di dirmi chi devo essere o come mi devo comportare. Parla del taboo dell’aborto e del vedere la donna come una persona che serve solo a fare figli e che non deve avere un ruolo nel mondo. Quindi sì, stesso tema, prospettive diverse “MOTHERS SISTERS GIRLFRIENDS” è più rivolta alle generazioni passate che trovavano questa situazione inaccettabile come normale, parla del fatto che le donne sono molto più che essere madri, sorelle e fidanzate. Penso che se vuoi assumere quei ruoli, è fantastico se ti soddisfa. Ma se non lo è, passerai tutta la vita sentendoti risentita.
Di recente si parla molto di salute mentale come effetto collaterale dei due anni passati in pandemia, la tua canzone DEMONS parla proprio di questo. Ce ne parli?
Si parla sempre di salute fisica ma mai abbastanza di salute mentale, che sono due cose che vanno di pari passo. Le persone sono molto più produttive quando sono felici e la macchina del capitalismo se ne frega e pensa solo a farci lavorare senza chiedersi come stiamo. E’ un problema che si tende ad ignorare, per questo penso sia fondamentale avere delle persone vicine quando siamo al nostro punto più basso. Ci fanno andare avanti, ci incoraggiano, soprattutto quando non riesci a vedere oltre te stesso. Avere grandi amici e ricevere buoni consigli è importante. Ma la cose più importante per me è potermi fidare di me stessa e condividere le mie esperienze. Serve empatia e per averla devi passare attraverso determinate situazioni per questo sia fondamentale continuare a parlarne. I miei demoni sono quelli di tutti.
Quali sono gli artisti che ti hanno ispirata nel diventare una cantautrice?
Tantissimi… Eryka Baduh, Adele, Amy Winehouse che è la mia scrittrice preferita, Marvin Gaye, quando ero una ragazzina ero ossessionata da Pink! e Britney Spears.
L’ultima canzone di cui ti sei innamorata:
Che domanda ifficile, c’è così tanta musica nel mondo… direi “CYANIDE REMIX (feat. KOFFEE)” di Daniel Caesar.
Poppy Ajudha