“Villa Tatum” è il secondo album di Tatum Rush poliedrico artista che ama cambiare pelle sia nella musica che nel look; questa volta ci apre le porte della sua nuova era come un contemporaneo Rodolfo Valentino del pop.
Quello di Tatum Rush è un mondo multiculturale che nasce dalla curiosità a dal suo essere nostalgico e futurista allo stesso tempo. Italo-svizzero nato in California, vive a Ginevra ma quando fa freddo scappa in Brasile, se dovessi trovare una frase per descrivere lui e la sua musica direi elegante e senza tempo.
Tatum Rush è un trasformista, ha studiato belle arti e ha fatto teatro e questo si respira nei sui lavori, primo su tutti in “Villa Tatum” il suo ultimo album uscito lo scorso novembre per Undamento e suo primo in italiano.
Tatum Rush apre le porte della sua villa, dove ciascuna stanza è abitata da un ospite diverso ma sempre avvolto da un allure intellettuale, c’è la stanza pop arredata alla Almodòvar e da dove escono suoni più mediterranei, quella letteraria dove il fantasma di Pasolini si cimenta in una conversazione pop con Gianluca Vacchi e ancora quella neorealista italiana dove potrebbe soggiornare Totò ma travestito da sceicco, dove si ride ma si pensa anche.
Abbiamo chiacchierato con Tatum Rush per cercare di entrare meglio nel suo mondo onirico fatto di stanze:
Ciao, aprici le porte di questa “Villa Tatum”:
La particolarità di questo album è che è scaturito da un periodo di blocco, ricordo che il mio produttore Ceri mi rimproverava dicendomi che ero incastrato e che continuavo a portargli pezzi uguali senza rendermene conto. Così mi ha sfidato a trovare un nuovo modo di scrivere rispetto al mio primo ep in italiano “Drinks Alchemici” e a qualche singolo uscito a seguire.
Dopo un periodo di frustrazione qualcosa si è sbloccato e ho cominciato a scrivere in un modo più diretto e semplificato. Ho lavorato di sottrazione, sono andato verso una scrittura più cerebrale, pseudo intellettuale e da lì ho cominciato a scrivere molti pezzi con la giusta attitudine.
Stranamente mi sono anche ispirato ad artisti che ascoltando la mia musica non diresti mai, tipo Bad Bunny, ho puntato più sull’efficacia del brano piuttosto che su una ricerca linguistica ossessiva.
Per quanto riguarda l’immagine mi sono molto appassionato a Rodolfo Valentino che ho scoperto tramite Totò che in un suo film ha una battuta in cui dice “Sembri Rodolfo Valentino” e da lì sono andato a cercarmi chi era. Che poi dev’esserci qualcosa che mi lega a Totò perché un personaggio che ho interpretato in passato è lo sceicco, una figura molto cara anche a lui. La caricatura di un personaggio pop che però poi diventa serio sul finire.
Dove nasce questa passione per Totò?
Ce l’ho da sempre, anche lui ha vissuto a Lugano per un periodo della sua vita e mio nonno che faceva il tassista lo ha caricato in macchina diverse volte. Per me è un Buster Keaton italiano, che è un’altro personaggio che mi piace molto. Avevo anche campionato anche un pezzo del suo brano “Malafemmina” in una delle mie prime canzoni, direi che è il mio personaggio italiano preferito.
Perché “Villa Tatum”, è un titolo molto terreno ma anche evocativo, la tua visione qual è stata?
E’ nato da una discussione con un amico che scrive poesie, Villa perché vuole dare un senso di sfarzo materiale nel suo senso più ironico che però si accompagna ad una ricchezza intellettuale e spirituale.
Quindi cercavo il titolo di questa villa fin che lui non mi ha detto: “Non cercare un titolo a caso, ma cerca di contestualizzare, devi proiettare quello che tu vorresti”, da lì è nato il titolo “Villa Tatum” che per me è una sorta d’incantesimo autorealizzatorio.
“Sparring Partner”, parlami di questa canzone e del suo testo fatto di contrasti… come riesci a citare Gianluca Vacchi e Pasolini nella stessa canzone?
Vivendo sul Lago di Como sono cresciuto con la leggenda di George Clooney, andavo in pasticceria e c’era appesa al muro la foto di George che faceva jogging. Mi ha sempre divertito questa leggenda dell’americano che cerca la classe italiana sul Lago di Como, poi a volte mi chiedo se l’ha mai trovata…
“Sparring Partner” parte dal testo da questa immagine perchè alla fine Clooney è una caricatura di se stesso e da lì mi sono venute in mente tanti riferimenti ad altri personaggi che fanno parte della mitologia contemporanea delle celebrità.
E poi chissà probabilmente se oggi Pasolini fosse ancora vivo un pensiero su Gianluca Vacchi lo avrebbe anche espresso, avrebbe sicuramente fatto un’analisi sociale di questo fenomeno.
Nel disco ci sono tre feat. me ne parli?
“Hydra” è un pezzo che esiste da un pò, è un brano nato spontaneamente con l’aiuto della mia compagna che è la Lulu del feat. nulla di pianificato è nata in casa.
Ma Lulu è un’artista anche lei quindi?
Lulu è speciale perché non nasce come un artista che non vuole esserlo anche se lo è. Sono io che le ho chiesto di aiutarmi a trovare delle idee e poi suo malgrado è diventata questo personaggio che canta e che mi porterò in tour. Ha un’ottimo orecchio.
Poi c’è “Bonjour feat. Jacopo Planet”, che è un artista e un amico con cui lavoro spesso a livello di scrittura e abbiamo fatto dei videoclip insieme in passato. E’ un pezzo scritto a quattro mani in amicizia.
Infine c’è Frah Quintale in “Big Mama” un’artista che per me è sinonimo di garanzia, vai sul sicuro con lui, ha un’immaginario e un’ottimo gusto che si adattano sia al pop che al rap, ed è molto intelligente nel capire quello che ci vuole in un pezzo, ha un flow quasi all’americana.
Ti piace interpretare dei personaggi, dove nasce questa tua passione per il trasformismo?
Da sempre coltivo un forte amore per il cinema e il teatro che ho sempre fatto a livello amatoriale, poi ho studiato belle arti e performance quindi la direzione è sempre stata questa. Un’esperienza che mi ha segnato moltissimo è stata fare il figurante all’opera a Ginevra, ho fatto il cameriere ne “La Traviata”, ed è come entrare in un mondo parallelo.
Ho fatto anche l’angelo nel Nabucco, dove stavo appeso, un’esperienza che ha fatto nascere un mio vecchio brano, “Barbarella”. La devozione degli attori che passano tre mesi a teatro senza sapere cosa succede fuori perché provano in continuazione, tanto che alla fine il loro personaggio si confonde con la persona. Alla fine ci si sente quasi più naturali travestiti che normali.
Mi piace quest’idea di creare situazioni per determinate occasioni, interpretare una parte anche grazie a un abito.
Con quali ascolti sei cresciuto?
Fino ai quattordici anni ascoltavo di tutto, ricordo che mi piacevano i Colle Der Fomento, andai anche a vederli live. Poi verso i sedici anni mi sono innamorato della bossa nova, c’era un cd nel multi player di mio padre e sono rimasto folgorato, è stata la prima cosa che ho scoperto da solo e quando accade poi te ne appropri.
Poi ho scoperto il jazz e mi sono messo a studiare tutti i classici perché volevo io stesso fare jazz, ho anche frequentato una scuola per un periodo, ma poi mi sono staccato perché per me era uno studio troppo metodico quasi ossessivo. Per essere liberi ad un certo punto bisogna anche disimparare.
Cosa ci dici del tour che stai portando in giro per l’Italia?
L’idea è quella di creare una sorta di bolla in cui incarnare le nostre versioni, mie e della band, più fantasiose e carismatiche. E’ anche piuttosto intenso per noi e spero anche per chi viene a vederci, sul palco a livello personale m’immergo totalmente nei brani, do tutto il possibile. Con l’esperienza ho capito che più ci sei con la testa e con l’intenzione e più il messaggio passa, anche se chi ti ascolta non parla la tua lingua.
Prima di salutarci, dicci qual è l’ultimo album di cui ti sei innamorato:
L’ultimo di Tim Bernardes “Mil Coisas Invisíveis” è un album senza tempo, molto bello.
Le prossime date del “Winter tour” di Tatum Rush:
18 Gennaio – @arci_bellezza #milano
19 Gennaio – @cap10100 #torino