Se non conoscete la musica del duo So Beast forse è perché non siete pronti al loro attacco sonoro cantato in tre lingue e che dal vivo esplode in tutta la sua vena riot, aspettate di vederli al MIami.
So Beast è un duo formato da Katarina Poklepovic, croata, e Michele Quadri, bolognese, entrambi produttori, musicisti e compositori di provenienze miste con base a Bologna.
“Brilla” (Needn’t / La Tempesta) è il loro secondo album, frutto di un percorso che getta le basi nell’improvvisazione libera, nello sperimentare senza preconcetti, lasciandosi travolgere dal flusso sonoro.
Un insieme di generi che sembra apparentemente senza senso ma che invece coesistono trovando un equilibrio che funziona mescolando nella stessa canzone elettronica, hip hop, hyper-pop, jazz, punk e world music, che casino penserete e invece il risultato è impattante e fresco.
Un “Brilla” che può diventare facilmente brillo perché ci ubriaca con il suo mix di generi; ne abbiamo parlato con i So Beast:
Ciao ragazzi, ci raccontate la vostra storia?
Michele: Una decina di anni fa eravamo a Bologna a un rave in un locale occupato che si chiamava Tsunami, che purtroppo non esiste più, lì ci siam visti la prima volta. Successivamente abbiamo cominciato a vederci a questi party techno e pian piano ci siamo conosciuti.
Katarina: E’ stato molto spontaneo il nostro incontro, noi siamo una coppia, io mi sono innamorata al primo sguardo, quindi è nato prima il nostro rapporto poi frequentandoci abbiamo capito che ci accumuna anche la musica.
Così per giocare abbiamo cominciato con una drum machine e la chitarra elettrica a sperimentare nella sala pianoforte dell’ Xm24 un centro sociale di Bologna che oggi purtroppo non esiste più.
Abbiamo cominciato a fare free impro, musica sperimentale, elettronica, ma in modo molto libero senza l’idea di un progetto musicale. Sicuramente abbiamo messo a fuoco un nostro linguaggio musicale basato sulla spontaneità.
Entrambi abbiamo un background di ascolti molto vasto, forse anche per questo creiamo incastri tra elementi che non andrebbero insieme secondo le regole, ma noi tentiamo di scardinarle.
Questo diciamo caos apparente che create, penso che dal vivo si riveli in tutta la sua forza mettendo anche un certo ordine rispetto al disco, mi sembrate più da live che da studio, o sbaglio?
K: E’ verissimo! Anche il nostro pubblico ci dice che dal vivo l’album rende ancora di più. Certo live abbiamo giocato molto con gli elementi principali dei brani che son quelli che ti vanno ad acchiappare, poi il resto è diverso dal disco.
Ognuno di noi ha un set di elettronica con sample e synth, io son più sulle tastiere e Michele ha anche la chitarra elettrica. In più ognuno ha un set di percussioni che ci troviamo a suonare in contemporanea perché in due facciamo quello che farebbe un percussionista bravo ahahahah!
Perché “Brilla”?
K: E’ uscito da una conversazione su Whatsapp, all’inizio doveva essere Shine poi è diventato Brilla perché ci piaceva di più il suono brrrr e lllll è divertente da pronunciare.
L’album è post pandemico quindi ne siamo finalmente usciti diciamo, è un disco euforico che celebra il post Covid ma è anche carico d’ansia perché il mondo a livello politico ed ecologico è un disastro.
E’ una doppia faccia tra resistere e mantenere una stabilità tra ansie, angosce e depressione… siamo in grado di brillare!
Anche il sole che vedi in cover, tratto da un’illustrazione medioevale rielaborata, brilla e ci da la vita, influisce sul nostro umore, ma pian piano ci sta cuocendo!
I vostri testi passano dall’italiano al croato all’inglese nella stessa frase, come nascono?
K: Improvvisando, raramente ci sono parti di editing, ma tutto l’album è scritto di getto, ho il tema principale chiaro in testa ma non il testo. Mi piace giocare con le parole e far sembrare astratto qualcosa che alla fine non lo è. Calcola che quando sono arrivata in Italia parlavo solo inglese, l’italiano l’ho imparato sul campo.
M: Anche io sono sempre stato influenzato da tante culture, mia madre è del congolese, abbiamo provato a inserirlo in una traccia ma non siamo riusciti a portarla a termine, però c’è del tedesco in “Walkhigh” un pezzo che viene definito reggae! (scoppiano entrambe a ridere ndg).
Cosa vi lega alla moda di Marco Rambaldi?
K: Marco e il suo fidanzato Filippo di hanno visto suonare dal vivo al famoso Xm24 di Bologna, con un sacco di gente ammassata, un suono totalmente distorto, tutti che twerkavano, c’era un caos totale!
M: Così ci hanno contattato e poi siamo diventati amici, abbiamo fatto per tre volte la colonna sonora delle sfilate. Per noi è stato molto stimolante.
Quali ascolti vi hanno formato?
M: Da adolescente ho scoperto i Sonic Youth e mi hanno insegnato tutto. Poi tanto hip hop e improvvisazione che è quello che mi piace fare.
K: Io vengo dal punk e dall’hip hop, poi una professoressa delle superiori mi ha fatto scoprire i Sonic Youth e anche per me sono stati il punto di svolta. Ma è il punk che mi ha formato.
L’ultimo album di cui vi siete innamorati:
K: Lil’ Yachty “We Start Here”, perché è una bomba, non è quello che fa di solito, ha fatto sto album psichedelico quando di base fa trap, è stato un viaggione inaspettato.
M: Per me “HiTech” degli HiTech una crew di Detroit che fa un mix tra hip hop e techno molto piacevole all’ascolto.