LA NIÑA: canzoni avvelenate

LA NIÑA ha sempre avuto un comune denominatore: la sperimentazione. ll nuovo album “Vanitas” rivela la quintessenza di un’artista unica nel suo genere in Italia.

Sin dai suoi esordi con gli Yombe, la napoletana Carola Moccia in arte LA NIÑA, non è mai scesa a compromessi in nome della sua arte, e con “VANITAS” spinge sull’acceleratore creando un album sperimentale e arrabbiato che non guarda in faccia nessuno.

Un progetto di otto tracce, costruito in collaborazione con il producer e grafico KWSK NINJA, un album che parla di una femminilità rabbiosa e sensuale, del vuoto pandemico, della disillusione sull’umanità, di tradizione napoletana e che frulla tutto insieme creando uno stile personale ed emotivamente travolgente.

E’ una NIÑA sanguigna e pronta a mordere quella che mi trovo davanti, ecco cosa ci siamo detti:

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Come ti senti ora che è finalmente uscito “Vanitas” il tuo primo album?

Molto più leggera! Avevo bisogno di dare al mio pubblico un lavoro più corposo e di dare sfogo a tutti gli animi che tenevo dentro, è un lavoro denso. Avevo tante cose da dire, tutte diverse tra loro, questo album è stato davvero una scommessa per me in primis come artista.

Riuscire a mettere insieme delle tracce così eterogenee ma che hanno un senso tra di loro non è stato facile; è stato davvero un bel lavoro di sperimentazione.

Hai detto tu le canzoni sono molto diverse tra loro, io lo vedo come un voler rivelarti a 360°, come se dicessi: questa sono o che vi piaccia o no!

Sì. E’ un album che ragione poco di testa, io e KWSK NINJA il mio produttore (e direttore artistico ndr), ci siamo veramente lasciati andare alla sperimentazione, che è qualcosa che non nasce mai dalla testa ma più da un’esigenza, quella di ricercare un sound che ti innesca e non ti annoia.

L’obiettivo di questo album è non annoiarsi mai, e l’unico modo per farlo era variare, io sono una che soffre la ripetizione artistica, quindi ho cercato di dare ai miei fan una serie di emozioni contrastanti che non gli facessero capire una mazza.

E’ un ampliamento di quanto fatto sino ad oggi, un regalo ai miei fan della prima ora, non è sicuramente un disco pop.

Se penso a “Eden” l’EP che precede l’album, è come se tu avessi portato all’estremo i suoi suoni, però in un territorio più freddo, che ne pensi?

Hai ragione. E’ un album più disilluso, “Eden” sia dal punto di vista anagrafico che umano era più ingenuo. Era un lavoro che nasceva a cavallo della pandemia e non avevo ancora capito che il mondo fosse così complesso contraddittorio e molto molto vano.

Da qui il titolo “Vanitas” che fa riferimento a questa consapevolezza della vanità delle cose, della fragilità della vita umana, e anche del forte dualismo dell’essere umano che in pandemia ha dato il peggio di sé tramite i social, è stata un’escalation che ormai non si ferma più.

I social sono pieni di persone frustrate alla ricerca continua e patologica di un momento di gloria, per cui sono anche disposte a tutto, anche a ferire profondamente l’animo altrui.

Queste considerazioni sulla vita, queste domande esistenziali, sono le fondamenta del disco che parla della consapevolezza del ruolo della donna nella società in un modo arrabbiato, perché ancora fatica ad essere rispettato, parla di stereotipi, delle malelingue, insomma mi sono proprio sfogata!

Chi ascolta bene il disco sentirà molto veleno ma sempre mantenendo una certa poetica, non amo il dissing, mi rifaccio più alla scuola napoletana teatrale di De Simone che con molta eleganza la diceva lunga sul popolo napoletano.

Però si, c’è un’analisi più fredda e distaccata dalla realtà.

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LA NIÑA “VANITAS” (Sugar)
Il tuo progetto da sempre ha una forte connessione visiva, parlami della simbologia della cover:

La cover è stata sviluppata intorno al tema “Vanitas”, gli oggetti simboleggiano la natura morta, la caducità delle cose, io e il mio art director KWSK NINJA abbiamo accostato l’arte fotografica analogica all’intelligenza artificiale, facendo riferimento al mondo pittorico. Abbiamo mescolato tre arti visive tra di loro.

Lo stile del dipinto fa riferimento all’arte di Salvator Rosa che era un pittore napoletano del ‘600 mescolato ad un cabinet of curiosities, all’interno del quale abbiamo unito la simbologia dei vanitas painting come il teschio per la morte, la clessidra per il passare del tempo, gli astri per i loro movimenti e allineamenti.

L’artwork rispecchia quello che abbiamo fatto musicalmente ovvero prendere vecchissime canzoni napoletane e non solo campionarle, ma capovolgerne totalmente il senso romantico rendendolo sensuale come abbiamo fatto con “FCCV”, che è una canzone libidica cantata da una donna, quindi difficile da digerire.

Con “HARAKIRI” abbiamo fatto la stessa cosa, ma attraverso distorsioni quindi uno strumento antico diventa iper contemporaneo. La copertina segue questo lavoro, e ne sono felicissima, la adoro.

Mi sembra che la tua voce sia più corposa e muscolare, sei d’accordo?

Sì, ho fatto tanta ricerca e ho deciso innanzitutto di dare spazio al mio amore per le scale arabe e napoletane. Ho voluto estremizzare l’utilizzo del vibrato.

C’è una traccia che consideri il cuore del disco?

“RESPIRA”, l’ultima traccia per me è il manifesto dell’album, so che è un pezzo che non è destinato alla grande popolarità ma per me rappresenta la sistematicità del mio modo di lavorare.

La crescita del pezzo che ti aspetti abbia un ritornello che non c’è è un avvicinarsi a una pace interiore che proviene da un grande tormento, e tutti i cori che si sovrappongono stanno a rappresentare proprio questa agitazione.

Abbiamo parlato di ricerca e sperimentazione nella musica ma hai dato sfogo anche al tuo lato diciamo nazional popolare perché hai partecipato come attrice e scritto la  colonna sonora della serie TV “La Voce che hai Dentro”, con protagonista Massimo Ranieri, come è successo?

La vita è fatta di compromessi, non che questa serie lo sia, mi rende piena di gioia. Però ti dirò che fare questa fiction mi ha permesso di estremizzare il disco, volevo capire quanto il pubblico italiano fosse preparato ad un certo linguaggio e fino a dove potevo arrivare.

Questo con la consapevolezza che a ottobre uscirà questa fiction di cui sono protagonista e ho curato la colonna sonora, al fianco di a Massimo Ranieri che è un figlio di Napoli.

E’ stata un’esperienza bellissima, io faccio la cantante e mi chiamo Regina, una persona traumatizzata dalla vita e tanto diversa da me, è stato interessante calarsi nei panni di un’artista che è il mio opposto. Fare la colonna sonora per una persona che non sono io è stato emozionante.

E’ stata la tua prima esperienza di recitazione?

Si, è stata la mia prima volta, all’inizio non lo volevo fare perché non mi ritenevo capace, ma evidentemente la produzione ha visto qualcosa che io non riuscivo a vedere e hanno insistito allo sfinimento e alla fine avevano ragione, mi sentivo a casa sul set. E’ stata un’esperienza bellissima.

L’ultimo album di cui ti sei innamorata:

“pablopablo” di pablopablo

La Nina (c) Gesualdo Lanza

LA NIÑA LA NIÑA