Polaroid sotto le lenzuola: Ryan Rudewicz racconta il corpo maschile.

C’è qualcosa di magnetico nel lavoro di Ryan: uno sguardo che attraversa la lente e si insinua direttamente nell’intimità dei suoi soggetti, mettendo a nudo non solo i corpi, ma anche le emozioni.

Con le sue Polaroid, Ryan sfida il concetto di perfezione, rivelando una bellezza cruda, fatta di dettagli imperfetti, attimi fugaci e racconti sospesi. Ogni scatto sembra una confessione segreta, un dialogo silenzioso tra lui e chi guarda.

Il suo lavoro esplora il corpo maschile in modo inedito, spogliandolo non solo dei vestiti, ma di quelle barriere culturali che lo associano esclusivamente a forza e controllo.

Nelle sue immagini, la pelle racconta storie, i gesti rivelano vulnerabilità e ogni Polaroid diventa un frammento di verità, autentico e spiazzante.

Ryan non è un semplice osservatore; è parte integrante di ciò che fotografa. Le sue opere non sono solo il riflesso di un’estetica audace, ma un invito a entrare nel suo mondo: fatto di corpi che parlano, spazi privati trasformati in scene iconiche e una costante tensione tra ciò che è mostrato e ciò che resta celato.

In questa intervista, Ryan ci accompagna dietro le quinte del suo processo creativo, condividendo la sua visione sull’arte, sulla sensualità e sull’accettazione di sé. Ma, soprattutto, ci sfida a guardare oltre il primo sguardo, a trovare la bellezza nell’imperfezione e a riscoprire il potere del corpo come strumento di liberazione. 

Polaroid e nudità maschile: due scelte artistiche forti e intime. Cosa ti attrae di più della loro combinazione?

Amo l’immediatezza della Polaroid. È come una fetta di tempo catturata nella vita. Puoi tenerla tra le mani. Una Polaroid di nudo è ancora più speciale. Puoi tenerla per te o decidere di condividerla con gli altri. È come un segreto proibito.

Se una delle tue Polaroid potesse parlare, cosa direbbe? Scegline una: la tua preferita, la più controversa o quella con una storia folle alle spalle.

Penso che sarebbe quella con la scritta sulla porta del bagno di un bar gay.

Mia madre ha visto questa foto e mi ha mandato un messaggio.

Non le è piaciuta affatto, ma alla fine abbiamo avuto una bellissima conversazione sull’arte queer e sul fatto che non tutto ciò che fotografo è destinato a lei.

Ogni volta che vedo quella Polaroid sul mio muro, sento la voce di mia madre che dice: “DAVVERO, RYAN???” E questo mi fa sempre ridere.

Pelle, corpi, imperfezioni: spesso la perfezione non è ciò che cerchiamo. Come decidi cosa rendere protagonista di una foto?

Mi piace concentrarmi su parti del corpo che trovo sensuali in qualcuno. Ognuno è diverso, ma possiede tratti specifici e unici che lo caratterizzano. Osservo attraverso l’obiettivo.

Hai mai usato una Polaroid “sbagliata” o rovinata in modo nuovo e inaspettato?

Ho iniziato a scrivere o disegnare sulle mie Polaroid rovinate. È stato bello trovare un modo nuovo per usarle e renderle di nuovo “belle”. Ho anche sperimentato bruciandole, tagliandole o alterandole in vari modi.

Le Polaroid hanno un’immediatezza, ma anche un’imperfezione. Come questa imperfezione riflette la tua idea di bellezza?

All’inizio ero ossessionato dal farle uscire perfette. Poi ho capito che era una perdita di tempo. Puoi preparare lo scatto perfetto, con l’illuminazione e lo spazio ideali, ma ci sarà sempre qualcosa che “va storto”.

Siamo tutti come una Polaroid: un caos contenuto, con i bordi che ci trattengono.

Se una delle tue foto di nudo maschile finisse in un grande museo, in quale sala vorresti che fosse esposta?

Proprio all’ingresso, nella hall. Sciocchiamo tutti.

 fotografia esplora il corpo maschile in modo sensuale, vulnerabile e crudo. Quanto di Ryan c’è in ogni scatto?

Mi piace pensare di essere presente in ogni scatto. Lo stai vedendo dal mio punto di vista, ma mi piace anche inserire una piccola parte di me nell’immagine. Che sia la mia mano sul petto di un uomo, la mia gamba dietro le sue orecchie, o un autoritratto insieme a lui, voglio che chi guarda si senta come se fosse nella stanza con noi.

l corpo maschile è spesso associato a forza e controllo. Come giochi con questi concetti per rivelarne la fragilità?

Molte delle Polaroid che scatto sono molto intime. La camera da letto può essere un luogo di vulnerabilità. I discorsi sul cuscino sono quei momenti in cui puoi sorprendere le persone, quando si aprono davvero.

Mi piace avere momenti di “Polaroid pillow talk.”

C’è una parte del corpo maschile che ti affascina più di altre? Un dettaglio a cui torni spesso?

Adoro il petto. E se è peloso, ancora meglio. È la prima cosa da cui sono attratto. I miei occhi vanno al petto e poi risalgono fino alla clavicola.

La fotografia può essere uno strumento di liberazione e accettazione del proprio corpo?

Assolutamente sì. È così che ho iniziato ad accettare il mio corpo. Cominciando con autoritratti, poi ho iniziato a chiedere agli amici di scattarne alcuni con me e così mi sono sentito più a mio agio nella mia pelle.

Se potessi scattare una Polaroid in un luogo assolutamente proibito, dove andresti?

Forse nello Studio Ovale. Con il sedere pienamente in mostra sulla scrivania.