Eye Contact, è il nuovo progetto di Karlo Martinez, è un libro che parla proprio della fragile potenza del vedere e dell’essere visti. C’è un momento, prima che due corpi si sfiorino, in cui tutto accade nello sguardo. È lì che nasce l’intimità — in quel gesto invisibile che unisce distanza e desiderio, realtà e immaginazione.
Conosciamo Karlo da anni, dai tempi in cui il suo lavoro abitava gli spazi digitali di TOH! e di Tumblr, tra autoritratti, corpi catturati dalla luce dello schermo, e una ricerca costante di verità nel frammento. Oggi, quella stessa ricerca si fa più matura, più dolente, ma anche più libera.
In Eye Contact Karlo Martinez raccoglie immagini personali e frammenti trovati, desideri congelati nei pixel e memorie analogiche di un’era che non esiste più. È un diario visivo che non racconta una storia, ma uno stato d’animo: il momento in cui la pelle si trasforma in superficie di memoria, e il collage diventa un modo per mettere ordine nel caos del desiderio.

Guardare, per Karlo, è un atto di amore e di controllo, di esposizione e di cura. Ogni pagina del libro è un piccolo esperimento di empatia: un modo di interrogare lo sguardo, e con esso la possibilità stessa di essere visti. A noi quello che guarda Guardare, per Karlo, è un atto di amore e di controllo, di esposizione e di cura. Ogni pagina del libro è un piccolo esperimento di empatia: un modo di interrogare lo sguardo, e con esso la possibilità stessa di essere visti.

Alla fine Karlo con questo lavoro ci invita a osservare, a ricordare, e forse anche a riconoscerci in quella fragile tensione tra visione e desiderio. Eye Contact è un esercizio di sguardo — verso l’altro e verso sé stessi — in cui ogni taglio, ogni gesto, diventa un atto di intimità condivisa.

Quando ci siamo incontrati per la prima volta ai tempi di TOH!, il tuo lavoro ruotava già intorno ai temi dell’intimità e dell’identità. Guardandoti oggi, quanto senti di essere cambiato — come artista e come persona?
Molto. Penso che la prima volta che ci siamo messi in contatto fosse nel 2016 o 2017, per un articolo su TOH! Sono passati quasi dieci anni, ed era un periodo in cui stavo davvero esplorando la mia sessualità attraverso piattaforme come Tumblr, pubblicando autoritratti e video, e godendo della libertà che offriva allora. Mi manca molto!
Allo stesso tempo, usavo Instagram in modo molto più intenso rispetto a oggi, come mezzo per entrare in contatto e collaborare con fotografi e artisti, continuando così la mia esplorazione.
So che tutto questo può sembrare narcisistico, ma in quel periodo stavo davvero imparando a vivere la mia sessualità e a liberarmi del senso di colpa e delle inibizioni con cui ero cresciuto in una famiglia cattolica devota. Poi, nel 2019 e durante il COVID, mi sono avvicinato al collage. Guardando indietro, sono state tutte fasi necessarie per crescere come persona.

Eye Contact sembra una sorta di autoritratto collettivo, una tensione tra sé e gli altri, tra desiderio e memoria. Quando hai capito che questo progetto sarebbe diventato un libro, invece che una mostra o una serie di collage indipendenti?
Eye Contact è stato in realtà il primo progetto su cui ho lavorato così a lungo — un anno e mezzo, per la precisione! È nato in modo molto lento e organico. Sapevo di avere un’enorme libreria di immagini sul mio telefono, accumulate negli ultimi tre anni: dettagli quotidiani o estetici che attiravano la mia attenzione. E sapevo anche di voler tornare alla mia pratica del collage, utilizzando immagini omoerotiche trovate, come avevo fatto negli anni precedenti.

Erano passati tre anni dai miei ultimi collage e dalla mia ultima zine, Hole Out for the Boys; nel frattempo mi ero trasferito da Melbourne a Parigi e avevo vissuto grandi cambiamenti nella mia vita personale. Mi è sembrato il momento giusto per mettere tutto sul tavolo e creare qualcosa di nuovo. C’erano tante idee e tante immagini: l’idea di un libro aveva perfettamente senso.

Le immagini tratte da video porno dei primi anni 2000 e quelle scattate con il tuo telefono coesistono nello stesso spazio. Cosa ti attrae di questa sovrapposizione di temporalità e dispositivi diversi?
Guardare la libreria di immagini del mio telefono mi ha ricordato quando, nel 2013, aprii per la prima volta un account Instagram dedicato solo a foto di architettura e paesaggi urbani — niente a che vedere con quello che poi ho fatto su Tumblr o Twitter negli anni successivi. Penso che, essendo architetto, siano cose su cui mi concentro naturalmente, fin da bambino. Allo stesso tempo, sapevo anche di voler tornare alla pratica del collage e di voler esplorare ancora una volta le immagini omoerotiche trovate, come avevo fatto negli ultimi anni.

C’è una precisione quasi chirurgica nel modo in cui tagli e ricomponi le immagini. Il collage, per te, è un gesto di controllo o un modo per perdere il controllo sull’immagine?
Direi che è un gesto di controllo, nel senso che prendo qualcosa di preesistente e usa-e-getta e ne metto in evidenza con attenzione un dettaglio o un gesto specifico.

Hai descritto il libro come un diario visivo. Cosa succede quando un archivio così intimo diventa pubblico? Ti spaventa, ti libera, ti espone?
Mi sento esposto, ma questo soddisfa il mio lato esibizionista.

La fisicità del libro sembra fondamentale. Come hai pensato agli aspetti materiali di Eye Contact — la carta, il formato, il ritmo delle pagine — in relazione al contenuto?
Per quanto riguarda la carta e il formato, devo dare credito all’editore, Collapse Books. Abbiamo scelto una finitura lucida per la copertina, per evocare il riflesso dello schermo di un telefono. Quanto al ritmo delle pagine, volevo che il libro avesse un flusso naturale e una sorta di narrazione libera, che si muovesse da un’atmosfera o ambientazione all’altra. Desideravo che ci fosse un pensiero dietro, e non solo una raccolta casuale di immagini.

Il concetto di fondo è quello di un weekend: dal venerdì mattina, quando ci si sveglia e si va al lavoro, fino alla domenica sera. Anche se non va preso troppo alla lettera.
Il titolo parla di “Eye Contact”, un momento che può significare desiderio, minaccia o empatia. Cosa significa per te oggi guardare — ed essere guardato?
Il contatto visivo ha per me un significato enorme. Il contatto visivo quando parli con qualcuno, quando ti concentri su qualcosa, quando guardi uno schermo, o quando fai sesso. È dare tutta la tua attenzione a qualcosa, concentrare completamente lo sguardo sull’oggetto del tuo desiderio, su ciò che cattura la tua attenzione, su ciò che ti dà piacere.

Molte delle tue immagini nascono dalle prime estetiche digitali — Tumblr, webcam, forum online. Pensi che quella cultura influenzi ancora oggi la nostra sensibilità visiva?
Assolutamente. Quando ho iniziato a riflettere su cosa volessi fare dopo, continuavo a pensare all’attuale fascinazione per la nostalgia: gli anni ’90, i 2000, gli anniversari e i reboot. Ho notato anche l’attenzione e l’apprezzamento per le estetiche e le pubblicazioni gay vintage degli anni ’70 e ’80.

Così ho pensato: e l’inizio dell’era digitale? La mia prima esposizione al sesso gay è avvenuta online, con un video porno nel 2009. Ricordo perfettamente quel momento e il video esatto. Poi è arrivata l’era d’oro di Tumblr, a metà degli anni 2010, qualcosa che ho vissuto e a cui ho partecipato in prima persona. Volevo rendere omaggio a tutto questo.

Images from Eye Contact (Collapse Books, 2025).© Karlo Martinez

