Emma Nolde: canzoni nate da uno stato di necessità.

Emma Nolde era talmete introversa che per confidarsi con gli amici componeva canzoni che cantava loro a sorpresa dal palco di un pub. Oggi queste canzoni fanno parte di Toccaterra il suo primo album. 

Toccaterra di Emma Nolde è uscito lo scorso settembre e si è fatto notare tra i debutti su cui puntare in questo strano 2020. Otto canzoni che fanno lo slalom tra cantautorato e pop sperimentale in un lavoro viscerale e onesto, nato per sfuggire a un malessere interiore.

Dalla Toscana, con i suoi 19 anni, Emma Nolde ha cercato di darsi risposte da grandi, per colmare un problema di apatia da comunicazione, così ha scritto dei pezzi per ricostruire se stessa, trovando nel palcoscenico un luogo in cui si sente libera. 

Emma Nolde
Emma Nolde tutte le foto sono di Aurora Cesari

Ciao Emma, ci racconti un po’ come hai iniziato a suonare?

Ho cominciato a suonare la chitarra da bambina, a 7 anni, quindi suono da sempre, da quando ho ricordi lucidi. Poi a scrivere canzoni e le suonavo con un amplificatore che avrà avuto 3watt, questo fino a sedici anni quando ho scoperto che esistevano gli amplificatori veri. Ma non mi sentivo rock n roll, io sta roba del rock non l’ho mai vissuta bene, anche se poi in quello che faccio ce n’è tanto, quindi è strano che mi senta sempre in opposizione a questa parola. Poi ho iniziato a scrivere e per i consensi delle persone che mi stavano attorno, e ho maturato l’idea che fare la musicista potesse diventare la mia vita. Oggi non riesco a stare senza suonare.

Quanto sono personali i tuoi testi, perché sulla cover di Toccaterra c’è una tua foto in cui appari rotta e aggiustata come una bambola di terracotta, quindi mi vien da pensare che queste canzoni siano dei “pezzi di te”, qual è il tuo punto di vista?

La tua intuizione è giusta. I miei pezzi hanno una gestazione molto lunga, invidio la capacità di chi riesce a chiudere un brano in un giorno. Io non riesco proprio ad essere specifica, soprattutto testualmente e a trovare le parole per riempire in fretta tre minuti di brano. Quindi per scrivere sfrutto quei pochi minuti di concentrazione che mi arrivano in una giornata e ci metto un mese a chiudere un pezzo. Spesso succede che dopo un mese che cerco incastri e parole specifiche mi renda conto che il pezzo non mi dice nulla e lo accantono.

EMMA NOLDE

Nelle relazioni si dice che se non funzionano subito non funzioneranno mai, ecco per le mie canzoni è lo stesso. 

Lo scrivere in fretta però è un po’ un vanto della scena trap e non è sempre una qualità, ognuno necessita dei suoi tempi, basta non farsi prendere dall’insicurezza… Forse sei poco istintiva e hai bisogno di ragionare di più su ogni scelta.

Probabilmente do tanto peso a quello che dico anche se poi sono consapevole che al di fuori non cambia nulla se uso una parola piuttosto di un’altra.

Do alle parole un sacco di responsabilità, non mi piace quando non vengono usate bene dagli altri, quindi puoi immaginare quanto posso essere esigente con me stessa.

Ho bisogno di sentirmi a mio agio. A me piace moltissimo quando scrivo una cosa che a voce non direi mai perché me ne vergogno, ma non solo per timidezza. Ad esempio in Ughi che è una canzone che parla di mia nonna in cui dico “perché il ritorno ti fa vomitare”. Ricordo che gliela feci sentire tanto tempo dopo averla scritta e lei di tutta la canzone, si concentrò solo sulla parola vomitare. La mia è una nonna un po’ particolare e atipica, non fa mai complimenti e dopo averla ascoltata mi disse: “Se la vuoi dedicare a me questa parola è un po’ indiscreta”. Ma a me piaceva questo essere fuoriluogo, al di fuori della mia confort zone, ecco questa è una delle figaggini dello scrivere. 

Mi sembri una persona molto concreta con i piedi saldi, perché hai intitiolato l’album Toccaterra che sembra più un ritorno alla realtà?

In realtà sono una persona molto determinata nella vita normale per quanto riguarda scelte che non siano amorose, anche se è una parte talmente importante che spesso totalizza anche il nostro modo di vederci. Se qualcosa dal punto di vista affettivo va male, spesso e indipendentemente da come vanno le altre cose tendiamo a leggere il tutto in quell’unica chiave.

Io stavo vivendo un momento che per fortuna si è concluso felicemente, per il disco non tanto per altro, in cui non riuscivo a dire quello che provavo davvero a nessuno e questo sconfinava in una forma di apatia. 

Per quattro anni non sono riuscita ad esprimere entusiasmo per niente e nessuno, quando invece dentro avevo tanto. Mi è capitato d’infatuarmi e vivere l’innamoramento più che l’amore con persone diverse con cui non riuscivo veramente a esprimermi, forse per non far vedere la mia vulnerabilità. Quando finalmente ho cominciato a superare questo ostacolo, trovando il modo di esprimermi sempre con molta difficoltà, sono venuti alla luce tutti quei film che mi ero creata. 

Quando non parli per tanto tempo il non detto si trasforma in troppe cose, che magari nella vita vera non rientrano o nemmeno esistono. Quindi l’album si chiama Toccaterra perché le mie parole riportano al reale, sono lo strumento che consente di vivere il presente.

Emma Nolde

Quindi credi nel potere terapeutico della musica?

Assolutamente sì. Meno male che c’era e c’è la musica. Ricordo durante quel periodo buio che era bellissimo non trovare il coraggio di dire certe cose e poi cantarle al pub davanti ai miei amici che non sapevano minimamente quello che mi tenevo dentro. Rivelavo loro cose cantando, capivano che dentro avevo cose che non avevo il coraggio di tirar fuori. Poi la sicurezza del palco ti da anche il coraggio di confessare quello che hai dentro senza musica. Era il mio modo per entrare in discussione.

So che hai cominciato a scrivere in inglese, era sempre un metodo per mascherare quello che provavi?

Si è esattamente così. Ho smesso di cantare in inglese per dar vita ad un dialogo, volevo che s’innescassero domande. In inglese potevo dIre quello che volevo ai miei amici tanto non capivano… era ganzo però!

Mi piace la ricerca sonora del disco, i sintetizzatori, i trigger, non a caso la mia canzone preferita è Berlino che è quella dove osi di più con la produzione, mi sembri una che ha ascoltato tanto i Radiohead… me ne parli?

Ho ascoltato tantissimo i Radiohead e li sto assimilando bene ora, sono uno dei miei approfondimenti fondamentali. A me piace spaziare tra i generi, leggendomi dall’esterno vedo che esistono momenti cantautorali e altri in cui prevale l’ascolto di tutto ciò che non è italiano e quindi mi viene da scrivere alla Berlino, diciamo così. Mi piacerebbe non perdere questi due aspetti della mia musica. Ti faccio un esempio. Io adoro i Bon Iver e l’album For Emma, un lavoro scritto in mezzo alle montagne innevate. Io penso che si senta tantissimo il luogo in cui è stato scritto, se i Bon Iver si fossero trovati in una metropoli non sarebbe suonato così. Io vivo in un posto che non ha linearità, c’è il mare, la montagna, la città e la campagna e io vivo in mezzo a questo luogo che non è ben definito, è un po’ di tutto. Io credo che chi vive in un ambiente così ibrido finisca per assorbirne le caratteristiche. La musica è il risultato di tante fascinazioni. 

L’ultimo album che ti ha affascinato?

Strange Season di Khushi ha dei suoni bellissimi e mi piace come processa la voce. Lui ha cominciato aprendo i concerti di James Blake, difatti gli somiglia, ma è a tratti più cantautorale.

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