Geoffrey Chadsey con i suoi lavori esprime una visione personale della figura maschile e del corpo umano.
Oscillando tra i due sessi Geoffrey Chadsey crea corpi non definiti, ma con un’anima e una forte personalità data dall’esaltazione di alcuni aspetti e da situazioni, che mescolandosi con la figura creano un’immagine surreale, divertente e spesso provocatoria.
Geoffrey Chadsey è un uomo che si interroga su molte cose, come la sua identità. La sua ricerca si avverte nel suo lavoro rendendolo fortemente intimo e unico.
Chi è Geoffrey Chadsey?
Sono un disegnatore, in mancanza di un termine migliore, che lavora anche a tempo pieno come foto editor.
Vivo a Brooklyn, sono un uomo bianco gay anziano che cerca di capire che significato possa avere quest’identità negli anni a venire.
Quando hai iniziato con l’arte?
Disegnare è una cosa in cui sono bravo sin da giovane, l’ho sempre fatto con molta disinvoltura, ed ero pigro nel migliorarmi.
Il disegno era un trucco a sorpresa che potevo rivelare agli altri. Al college ho iniziato a studiare arte, ed è stato difficile concentrarmi su ciò che volevo disegnare, guardare, rivelare.
Mi sono avvicinato alla fotografia perché le foto di altre persone sono sempre state il mio materiale di partenza. Perché non eliminare l’intermediario della matita? Mi ci sono voluti alcuni anni in più per tornare alla matita, che mi sembrava più personale, o almeno più semplice. Le negoziazioni della fotografia, il coraggio, il consenso e i tempi necessari per catturare un’immagine, i soldi necessari per produrla… Non potevo gestirli.
Ci parli un po’ del tuo lavoro?
Disegno ritratti di “uomini” compositi tratti da foto prese da internet, riviste, giornali, il mio archivio di famiglia. Sono matite acquerellabili su mylar e si leggono sia come opere pittoriche che fotografiche.
Perché le tue figure oscillano tra il maschile e il femminile?
Penso che le mie figure non siano stabilite su chi sono o su come vogliono essere viste. Brillano di aspirazioni visive. L’esibizione della mascolinità, specialmente all’interno di un pubblico gay, è una gestione della femminilità: un’esaltazione (moda, camp) e un esorcismo nevrotico. In alcuni di questi disegni penso al femminile come il “ritorno del represso”.
Cosa ti porta a creare figure che mutano continuamente?
Le opere cambiano man mano che ci attingo nel tempo.
Il “cambiamento” è un collage del sé.
Sé precedenti, degli altri, immagini del proprio sé ideale che incorporiamo, digeriamo, proiettiamo nel tempo.
Da cosa parte la tua ricerca per la creazione?
Google. Così facile! Trent’anni fa erano le viscere delle biblioteche, vagando per i loro vecchi archivi di riviste, un ambiente molto più divertente.
Che valore ha per te la diversità?
I sé che incorporiamo o a cui aspiriamo non appartengono solo alla nostra razza, genere, fascia di età. Non mi interessa disegnare un campo ininterrotto di mascolinità bianca.
Si potrebbe obiettare che il mio lavoro è una rappresentazione continua della mascolinità bianca e di come quell’identità assorba le rappresentazioni dell’oscurità per apparire distinta, fresca, piena di “carattere”. Non ho ancora deciso una risposta.
Quanta libertà c’è nella tua arte?
Mentre disegno, poiché rimango bloccato in rappresentazioni “realistiche”, cerco momenti per esplodere. Spesso accade negli sfoghi scritti sul disegno: battute che mi vengono in mente o momenti d’incertezza. Sono anche sempre desideroso di spingere il materiale, che non serva solo alla rappresentazione.
La libertà del segno si contrae sempre per liberarsi ai margini dei disegni.
Che progetti hai per il futuro?
Chissà… Più disegni, più pittura, più lettura, più googling.