“Back to Black”, il biopic musicale che riporta Amy Winehouse al cinema, è ora disponibile. La pellicola, diretta e sceneggiata da Sam Taylor-Johnson, si impegna a restituire la vita della cantante con rispetto e autenticità, evitando di cadere nei cliché e nelle semplificazioni.
L’immagine più famosa della regista Sam Taylor-Johnson, quando era ancora Sam Taylor-Wood, la talentuosa giovane artista britannica, era un autoritratto in piedi con un completo nero, mentre tiene in mano un lepre puntato rigidamente verso l’alto.
Era forte, scomoda, e controversa sin dal suo fidanzamento a quarant’anni con l’attore Aaron Taylor-Johnson all’epoca diciannovenne, conosciuto sul set del film Lover boy, biopic sul giovane John Lennon, suo secondo film da regista.
La coppia contraddicendo le malelingue è innamorata più che mai, nel 2001 si sono sposati e oggi vivono a L.A. con i loro 4 figli; 2 sono del matrimonio precedente della Johnson. Ma lo smalto che contraddistingueva sia le opere dell’artista che i suoi primi filn da regista è andato perso, è come se allontanandosi da Londra trasferendosi a New York si fosse imborghesita, perdendo quel lato ribelle che la contraddistingueva. E così è questo suo nuovo film.
Amy Winehouse viene ritratta come una figura vitale e appassionata, lontana dall’essere solo un’eroina condannata. Le sue canzoni fungono da filo conduttore, accompagnando il racconto attraverso gli anni e gli eventi della sua vita.
Marisa Abela interpreta Amy con bravura, anche se è evidente la mancanza di profondità nel suo personaggio. Rispetto al documentario “Amy” del 2015 di Asif Kapadia, vincitore di un Oscar, il film non riesce a catturare appieno l’essenza e la complessità dell’artista.
Persino il padre, da sempre dipinto come uno dei suoi peggior nemico nel film viene dipinto come il migliore dei suoi protettori..
Il consiglio di Toh! Magazine è chiaro: se volete celebrare veramente Amy Winehouse, immergetevi nella sua musica e nella sua arte, piuttosto che guardare un film che non riesce a coglierne appieno l’anima come ha fatto al contrario il documentario premio Oscar “Amy”.
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