Si scrive Splendore si legge avanguardia

Il rap, l’indie, poi l’incontro con Cosmo, la creazione di Ivreatronic, e il gusto di riscoprirsi e ritrovarsi in OMG, un ep ironico libero da ogni costrizione, anche da quelle di genere. Abbiamo intervistato Splendore.

I suoi dj set sono un caleidoscopio di colori e suoni proiettati nel futuro, ma tutto è cominciato nella sua cameretta di Ivrea quando faceva rap e scriveva rime sui banchi di scuola. Poi è arrivato l’indie con le chitarre, le stesse che ha appoggiato al muro per diventare finalmente Splendore, la sua forma più vera e chissà se definitiva. Si percepisce subito che a Mattia Barro aka Splendore piace mutare, cambiare forma, ricercarsi, proprio come succede nelle canzoni che formano OMG, Am I Really Feeling These Feelings I’m Feeling Right Now?. Con la sua ironia, caratteristica fondamentale della sua musica, Splendore è una delle figure più all’avanguardia della musica elettronica italiana, una Charli XCX venuta dal Piemonte.

Ciao Splendore, come stai e dove ti trovi?
Ciao, tutto bene sono nella mia casa a Milano e tu? Sei bloccato casalingo o in giro?

Eh, io decisamente in smart-working, tu pure?
Io sono nato casalingo, non dico come una massaia dell’800 ma quasi… 

Io non sono per niente abituato a stare in casa ma ormai ci ho preso l’abitudine anche più in fretta di quanto pensassi.

Alla fine la cosa difficile di questa situazione è riuscire a trovare il proprio spazio, tanto poi ci adattiamo più di quanto possiamo immaginare, perché l’uomo è un animale e per natura si adatta. Ricordo quando nel primo lockdown aprivo le finestre alle 8 di sera e c’era così tanto silenzio che sembravano le 4 di mattina, mezza giornata era di totale silenzio.

Splendore

Photography: Chiara Lombardi. Styling: Giulia Revolo. MakeUp Artist: Vanessa Icareg

Ho scoperto la tua musica grazie a Cosmo e con il singolo Rosa Splendorr. Il colpo di fulmine è scattato con La Police che io e il mio fidanzato abbiamo ballato per tutta l’estate 2019. Ci racconti come nasce Splendore?
A me sembra passata un eternità da Ciao Splendore! La verità è che faccio fatica a ricordare un momento della mia vita in cui non faccio musica, le prime canzoni che ho scritto le ho sul diario delle medie. Ho cominciato a cantare come rapper che avevo 13 anni e ho continuato per tutto il liceo. Quegli anni penso siano stati fondamentali per la mia formazione, almeno per quanto riguarda la scrittura.

Trasformare  le sensazioni e i sentimenti in parole è stato molto utile e al tempo stesso bellissimo, perché mi divertivo un sacco.

Riempivo i quaderni di testi struggenti sentendomi solo al mondo nella mia piccola provincia. Quando rappavo io il rap, almeno in Italia, non era cool, eravamo in pochissimi a farlo nei primi anni 2000.

Qual è l’artista che ti ha fatto innamorare del rap?
Gli Articolo 31, Ahimè! Un ahimè che col senno di poi si è rivelato molto utile perché erano il target perfetto per i ragazzini, erano giocosi ma davano delle possibilità facendo qualcosa che prima non c’era. Poi sono andato a vedermi chi lavorava con loro e da li sono riuscito ad avere delle informazioni in più, poiché internet era agli albori ed era difficile tirarne fuori qualcosa. Di conseguenza ho scoperto Fabri Fibra e Bassi Maestro, ma restavo sempre nei confini italiani. Crescendo ho accantonato il rap e ho fatto indie per un bel po’. Il passaggio dal rap al cantautorato è molto semplice: per me è stato come mettere in melodia quello che prima rappavo.

Poi è arrivato Splendore che ha detto “basta, non ho più voglia di scrivere testi”. Così a volte dice delle cose ed altre non dice niente, utilizzando un vocabolario italiano/inglese spesso sbagliato in entrambe le lingue.

Io lo chiamo un esperanto fallimentare. Sono proprio partito con l’idea di voler fallire, non volevo dire niente, purtroppo qualcosa ogni tanto mi è uscita, ma il non dire nulla mi trasmette un forte senso di pace, soprattutto in un momento in cui tutti dicono o vogliono dire qualcosa di fondamentale. E non parlo solo della musica ma anche della società.

Splendore

Non dire nulla in un testo mi sembra politicamente la cosa più forte che potessi fare in questo momento.

Ho dato solo senso al suono. Da uno che ha sempre cercato di dar un significato alle parole, toglierlo mi è sembrato super liberatorio. Che privilegio è non poter dire nulla?! È magnifico.

Con OMG mi sembra che tu abbia ulteriormente stravolto la struttura della canzone pop, anche se paragonato ai singoli usciti in precedenza. Ascoltandoti penso ad artisti come Charli XCX, Sophie e A.G. Cook o alla PC music, c’ho preso?

Hai appena citato il mio Olimpo, in cui Zeus è Charli XCX, poi si va a scendere. Charli XCX è proprio l’idea che ho della ragazza inglese che va ai rave, credo che la sua autoironia derivi proprio dal suo passato hardcore, trovo sia così pura e trasparente.

Parlando di ironia, penso sia una caratteristica che ti appartiene, partendo dal nome che ti sei scelto o i modi in cui mescoli liberamente più lingue. Qual è il tuo punto di vista?
Credo di essermi preso troppo sul serio per gran parte della mia vita, soprattutto quando facevo musica rap, ero molto serioso qualsiasi cosa facessi.

Ad un certo punto però nella mia testa è scattato qualcosa e ho capito che tutta sta serietà, non mi aiutava ne umanamente ne artisticamente.

Risultava come un muro che mi ero autocostruito quando invece nella vita privata sono un cazzone, cosi mi sono chiesto: “Perché questo lato del mio carattere non riesce ad arrivare nella musica che faccio?”. Così ho inserito questo aspetto nella mia produzione. È strano da dire, ma nella mia musica ci sono delle cose che mi fanno proprio ridere. Parlo di nerdismi. Ad Esempio, io arrivo dall’indie e quindi dalle chitarre, ma in questo EP non c’è traccia di una chitarra vera, ma solo software che fanno passaggi chitarristici impossibili da fare per un chitarrista, perché per farli dovrebbe avere 4 mani e 2 chitarre. A me questa cosa mi fa ridere un sacco. L’impossibilità mi fa ridere. Da li ho capito che potevo essere ironico anche nello scrivere, così se al mio italiano in cui sbaglio le e aperte e chiuse, ma sono piemontese e questa cosa non me la toglie nessuno, aggiungiamo che il mio inglese è quel che è, ho pensato: se li unisco o viene una bomba o viene una cagata colossale. Ovviamente per me è una bomba. L’autoironia nella musica è una cosa che non conoscevo e devo dire che mi rilassa molto. Ti dico una cosa che forse toglierà un pò di poesia, ma Splendore è il cognome da nubile di mia madre

Ahahahah! Penso sia un valore aggiunto invece, e poi hai trovato un modo per farti fare un complimento ogni volta che qualcuno ti saluta, dicendoti: “Ciao Splendore”
Esatto, costringo una persona a farmi un complimento, che sia il più incazzoso dei promoter che arriva dal metal e quindi già ti odia, alla persona più gioiosa che ti saluta per strada. La cosa più bella è quando accade che qualcuno mi saluta e la gente intorno non sa che mi chiamo Splendore. Si crea subito un cortocircuito. Immagina la scena in cui entro al bar e qualcuno mi dice:”Ciao Splendore” e tutti gli altri si girano a guardare chi è, e ci sono io che non lo sono, e in un attimo tutti a ridere.

Una cosa che mi piace del nuovo EP è che le canzoni cambiano forma anche più di una volta. Come hai trovato la tua dimensione in una struttura non struttura?
Non è stato un percorso facile, inizialmente alcune erano più forma canzone ma quando le finivo mi sembrava non dicessero completamente quello che volevo dire. Volevo spingere su alcuni lati di me stesso perchè la struttura pop può tenerti imbrigliato. Poi ero reduce da due anni di clubbing con Ivreatronic e quindi volevo tirare fuori questo aspetto. I miei ascolti sono molto legati all’ambient e quindi ho voluto inserirla in parte nella mia musica per avvicinarla a quello che ascolto nella mia vita.

Splendore

I miei ascolti passano dall’ambient più sperimentale all’hyper pop che va da Charli XCX ad Ariana Grande. Per farle convivere nella mia musica ho dovuto trovare la mia strada.

Credo che alla fine tutto funzioni perchè è filtrato dalla mia sensibilità, anche se all’inizio temevo di risultare troppo derivativo, poi ho lasciato che i miei sentimenti guidassero tutto e da li sono nate queste sperimentazoni. A volte sono suoni completamente stupidi tipo quello in cui mangio le patatine, ma avevo voglia di mettercelo dentro solo per creare un fastidio. A volte è necessario essere imbecilli.

Sei un artista a cui piace prendersi cura di tutto: dalla musica passando per le foto e arrivando ai visual. Quanto ti affascina l’evoluziome dell’arte digitale che vediamo utilizzare oggi da artisti come Shygirl e Ashnikko?
Mi fa impazzire! È la migliore cosa che ci ha dato Internet. Odio l’iperdemocratizzazione di Internet, è un lato che ammazzerei. Sogno un Internet muto e senza possibilità di scrivere, vorrei fossero solo delle immagini che girano come un Instagram senza parole e senza like. Mi piace molto ricercare i nuovi digital e 3D artist e sono molto affascinato dalla creazione di questi mondi alternativi e utopici, dei non luoghi digitali. Tutte le persone che hanno realizzato i miei video che trovi su Spotify sono creati da artisti che ho scovato sul web. Sono uno che si appassiona molto e quando trovo una cosa che mi piace la condivido 400 volte, perché voglio che tutti si accorgano che è una cosa bella. È nato così anche il mio rapporto con Thanyy che ha creato tutte le grafiche dell’EP. Mentre i 3D sono fatti da Fresh Rucola. Questo per dirti che io credo molto nella condivisione.

Sono una persona che ha difficoltà a immaginare cose che non esistono, sono cresciuto molto realista e questo lato di Internet mi sta aiutando a scoprire il lato visivo che non avevo e lo trovo molto istruttivo.

A proposito di condivisione: ho letto che ti sei recentemente dichiarato pansessuale e che è stato un percorso molto difficile perchè non riuscivi a trovare la tua vera identità. Me ne parli?
E’ una storia un pò lunga e articolata: circa quattro anni fa, ho attraversato un periodo di crisi esistenziale abbastanza grossa, avevo chiuso un progetto musicale a cui avevo dedicato sei anni della mia vita ed ero completamente svuotato. Ho mollato Milano perché ho avuto esperienze negative, così ad un certo punto sono iniziati una serie di attacchi di panico quotidiani e non riuscivo a capire la ragione. Ad un certo punto ho detto “Ok basta, ho gli attacchi di panico e tutti mi dicono di non remargli contro, entriamoci dentro!”

Ricordo che il primo attacco di panico mi venne a capodanno a casa mia, quindi in una situazione di totale comfort, dopo un anno, nel cercare di capire il perchè, aprendo cassetti e sollevando coperchi e spostando oggetti all’interno di me, mi sono trovato a perdere totalmente il centro di me stesso, ero totalmente confuso e non sapevo chi ero. In quel momento stavo anche leggendo un sacco di libri per cercare di capire le cose che non riuscivo a comprendere, così una parte della mia vita che tenevo schiacciata è tornata a galla.

Mi riferisco alle mie esperienze omosessuali durante il periodo dell’adolescenza, che avevo chiuso segretamente in un cassetto.

Ho sempre avuto degli impulsi negli anni a venire, e non li vivevo male, ma come una cosa che poteva succedere senza dargli troppo peso. Sono cresciuto in un paesino dove non esistevano uomini gay dichiarati, quindi non avevo modelli di riferimento e nemmeno la possibilità di comprendere guardando.

Avevo una compagnia di eterosessuali, io mi consideravo etero e dunque pensavo al passato come un periodo di sperimentazione giovanile. In più mi piacciono le ragazze e dunque non davo peso alla cosa, nemmeno quando lasciando il paese r ho scoperto una serie di emozioni. leggendo ho iniziato a scoprire e capire quella parte di me con i mezzi che avevo a disposizione. Perchè quello che mi è mancato di più, soprattutto d’adolescente, era la consapevolezza dell’esistenza della bisessualità, mentre prima per me era un out out: se ad un uomo piacciono le donne è da considerare eterosessuale.

All’inizio mi ero dichiarato bisessuale, poi come pansessuale perchè pensavo che la bisessualità potesse essere sotto qualche aspetto limitante. Ora sono tornato a definirmi bisessuale, non per mia volontà, ma per farlo capire meglio agli altri, perchè oggi io so chi sono e non ho più bisogno di definirmi.

Io mi definisco solo quando mi viene chiesto, per questo mi viene più semplice definirmi bisessuale perchè è più facile parlarne a livello divulgativo. A me non mi interessa essere pansessuale o bisessuale, sono tutto e niente, mi piace essere qualsiasi cosa. Mi pare che il concetto di pansessualità sia molto più difficile da capire per le persone. Quando io parlo di questo mio aspetto lo faccio perchè spero che chi mi ascolta possa aprirsi. Quello che mi interessa adesso è comunicare che esiste la possibilità di essere bisessuale e avrei voluto avere questa chiave di lettura quando ero adolescente.

Oggi com’è essere Gay a Ivrea?
Nel mio paese pare che la gente sia più aperta verso l’omosessualità femminile, mi sento di dire che è completamente accettata, o quasi. Quella maschile ha ancora molta strada da fare, ad esempio: nessuno crede che io sia bisex, perchè se sei stato con una donna non è possibile che ti piacciano anche i maschi. Questo ti fa capire quanto sia fantascientifico spiegare alle persone la tua identità. Per le persone di Ivrea la bisessualità non esiste.

Però, permettimi: Cosmo dopo aver inquadrato la cosa ci ha preso gusto! E’ evidente che gli piace piacere.
Ride (ndr). Penso di essere stato utile a Cosmo in questo mio percorso di scoperta e penso che Marco abbia un lato gayissimo che come molti ad Ivrea non ha indagato. Ad Ivrea non esiste e non è esistita la libertà sessuale.

Ma Ivreatronic, che dal di fuori sembra un collettivo inclusivo, non ha contribuito a sdoganare anche la libertà sessuale?
Ivreatronic è stato sicuramente utile. Ma anche al suo interno non è stato facile spiegarlo a tutti. Cosmo in primis l’ha capito perchè ha fatto un lungo lavoro al mio fianco, ma all’inizio era totalmente spaesato: ricordo il giorno in cui feci vedere le foto promozionali di Splendore truccato agli altri membri di Ivreatronic, ero molto imbarazzato, e quando ho mostrato le foto ho letto lo stesso imbarazzo nei loro occhi. Questo spiega benissimo come eravamo indietro solo due anni fa. Adesso l’imbarazzo non c’è più ma solo perchè c’è stato un lavoro interiore da parte di tutti. Io per primo li ho aiutati a capire tantissime cose. Ad Ivrea la persona più aperta è comunque chiusa.

Non conosco Cosmo a livello personale, ma lo immagino come una persona molto libera. Me lo ricordo fare il piacione a petto nudo sul carro del Gay Pride a Milano nel 2019, in modo completamente naturale.
Esatto, perché Marco ha la spontaneità e l’interesse di un bambino. Cosmo ha sempre voglia di scoprire nuove cose e quando ci arriva il suo approccio è molto ingenuo, senza sovrastrutture o doppi sensi. Cosmo, come tutti gli abitanti di Ivrea, non sapeva dell’esistenza della bisessualità e di tutto quello che ci sta dietro, quindi quando ha potuto ha agito come Marco agisce quando scopre le cose nuove, come tu stesso hai visto al Pride e una volta che ha compreso il tutto ha detto: “Ah ok, posso toccare il doppio dei culi”. Marco ama i corpi e stare nudo, quando ha capito che poteva toccarne il doppio è impazzito. Continua a ridere (ndr). Lo ha scoperto tramite il clubbing, che nonostante possa essere omofobo sotto certi aspetti, è il genere musicale che ti permette di capire di più questo mondo.

Non ci fosse stata la pandemia avresti portato questo EP in tour?
No, non volevo fare un tour perchè ne ho fatti tanti con la mia band indie. Mi piace molto girare e conoscere nuove persone, nonostante a Milano sia molto pigro mentre se mi chiedi di andar a suonare in giro non mi stanco mai e tiro le 9 del mattino. La verità è che a supporto di questo EP avrei voluto fare delle performances ad hoc, ma non essendoci stata l’occasione le ho traslate in questo film performativo in studio che ho mostrato durante la presentazione dell’EP insieme a Ivreatronic.

Onestamente in questo momento non mi sento di fare un concerto con questo tipo di musica, come non mi interessa più suonare gli strumenti. Non lo trovo abbastanza sexy per me.

A proposito di strumenti, non mi hai detto come si chiamava il tuo gruppo indie.
Si chiamava L’orso, e questo avrebbe già dovuto farmi capire tante cose…