Il ricordo per il bello, la mitologia, l’infanzia sono alcuni elementi chiave che Massi trasmette nei suoi lavori.
Affascinato dal mondo greco, dal movimento, dalla bellezza del corpo, Massi illustra figure che dominano lo spazio bianco. Corpi che volteggiano creando un senso di leggerezza ma allo stesso tempo posseggono un’importante presenza, forti, slanciati come dei ballerini o atleti olimpionici. Massi c’è in ogni tratto di quelle figure che illustra, sia con con l’anima che con il corpo, donandoci la sua unica sensibilità che lo contraddistingue.
Chi c’è dietro Massi arte?
C’è Massimiliano, quel ragazzo che fa fatica a identificarsi in un uomo adulto. Ora alto, magro con la barba ma rimasto agli anni delle elementari, ai momenti in cui il suo gioco preferito consisteva nel ritagliare e incollare i cartoncini per creare strane figure sui fogli, ancora curioso come un tempo e con la voglia di stupirsi continuamente.
Cosa ti influenza maggiormente?
Sono influenzato dal bello in ogni sua fattispecie, che sia nella forma di corpo, di statua o di racconto.
Trovo che la bellezza sia la scintilla che accende in me la creatività e che riesce a dare luce alla mia immaginazione.
Come nasce la tua passione per la mitologia?
Come tutti i bambini cresciuti nel secolo scorso, senza devices di alcun tipo, il mondo delle fiabe mi ha accompagnato per tutta l’infanzia e posso dire che non me ne sono mai distaccato a pieno.
Amo tutto quello che può essere raccontato sotto forma di storia o favola, più o meno inverosimile che sia.
Sono ateo e nonostante questo, anche la religione, che sia declinata come mito o Bibbia, mi incuriosisce molto. La mitologia nello specifico la vedo come l’unione di due mondi nettamente distinti e comunque intrecciati: storie quasi fiabesche, create dalla mente dell’uomo, che raccontano l’origine del cosmo, spiegando quello che l’uomo di allora non era ancora in grado di giustificare, per mancanza di mezzi e memorie. La cosa migliore è che riesca a farlo senza alcun tipo di censura: nei miti sono rappresentati tutti gli aspetti, anche più crudi, che compongono le nostre vite: dall’amore alla violenza, dall’amicizia alla vendetta, dal sesso al tradimento.
Le tue figure danzano, lottano, ma chi sono realmente?
Le figure che rappresento sono ispirate a sculture, dipinti, a volte rimandano a semplici immagini viste sui social. Quando queste riescono a suscitarmi una qualche emozione, l’immaginazione viaggia e il mio obiettivo diventa quello di creare delle storie che possano essere raccontate, intorno a quelle figure che attirano la mia attenzione. Al centro dei miei progetti, c’è sempre il movimento, l’azione, le forme, di fatti i miei soggetti non hanno un volto riconoscibile.
Perché la scelta di utilizzare il bianco e il nero?
È una scelta degli ultimi tempi in realtà. È buffo perché in passato ho sempre utilizzato i colori, anche molto accesi. Ho recentemente maturato l’idea che l’utilizzo del bianco e del nero dia maggior risalto alle forme che mi trovo a rappresentare, evidenziandone le linee, le curve e la dinamicità. In più, c’è il rimando alla filosofia orientale, da cui sono ampiamente influenzato. Il concetto di yin-yang, luce e ombra, pieno e vuoto, l’uno che completa l’altro, l’uno che non può esistere senza l’altro.
Sono estremamente affascinato da questa visione degli opposti, che nel suo fine ultimo collima nella ricerca di equilibrio e di armonia, e finisce per esserne essenziale.
Da dove nasce la figura maschile che hai deciso di utilizzare per rappresentare il “tuo uomo”?
È evidente nelle mie creazioni il costante richiamo al mondo classico, in particolare quello dell’Antica Grecia, che costituisce un po’ il fil rouge tra tutte le mie opere. Quella ricerca spasmodica, quasi maniacale, di ogni singolo dettaglio del corpo umano come emblema della perfezione. La mia arte si ispira, ma non copia, anzi deforma quell’uomo perfetto, con ogni muscolo in bella vista, accentuando alcune parti del corpo, come le gambe e le braccia allungate.
Nel mio “uomo (im)perfetto” io ci rivedo l’immagine che ho di me stesso, di come mi vedo nel mio subconscio o in alcuni casi, di come vorrei realmente essere.
La tua arte anche se carica di eros è censurata da linee non fortemente spinte, come mai?
Essendo agli inizi della mia carriera, in questo momento voglio che la mia arte sia accessibile a tutti, cosicché un pubblico più ampio ci si possa interfacciare e lasciarsi rapire, arrivando ad immedesimarsi nelle mie opere. Ciò non esclude che in futuro io possa essere ispirato a realizzare una collezione di quadri o disegni di immagini più spinte o a sfondo sessuale e senza censura. Ci tengo a ricordare che la maggior parte delle mie creazioni nasce più spesso per mio diletto e passione che su commissione. Tuttavia, ad oggi, preferisco fare uso di un eros velato, lasciando libertà al singolo spettatore di togliere questo velo, quando e come vuole.
Quanto è fondamentale il sesso nella tua arte?
Il sesso è un ingrediente che compone la mia arte.
È il q.b. del sale nelle ricette: la sua assenza comprometterebbe la realizzazione del piatto.
Capita esca qualche quadro più salato, su richiesta o per l’ispirazione del momento; altre volte do prevalenza ad altri ingredienti e sapori. Le quantità possono variare ma l’importante è che ci sia: a nessuno piacciono i piatti insipidi.
Com’è nata la collaborazione con Bikkembergs?
È stato Lee Wood, il direttore creativo di Bikkembergs a contattarmi sul mio profilo social, una sera di febbraio. Avevo quasi pensato fosse e un fake e stavo anche per ignorare il messaggio, prima di rendermi conto di chi mi avesse effettivamente scritto. Si è presentato e senza troppi giri di parole mi ha chiesto se avessi mai pensato ad una collaborazione nel mondo della moda. Poche ore dopo ci siamo sentiti telefonicamente e mi ha esposto il suo progetto e spiegato in che modo volesse farci rientrare un mio contributo.
È rimasto impressionato dalle figure atletiche, muscolose, impegnate in gesta eroiche che sono solito rappresentare, e le ha ritenute coerenti con il concept del brand. Lee mi ha dato modo di spaziare con la creatività, dandomi carta bianca e lasciandomi libero di sviluppare un’idea che avesse ad oggetto figure ispirate alle Olimpiadi dell’Antica Grecia.
Posso solo augurarmi che questa collaborazione sia la prima di una lunga serie.
Quanto te stesso c’è dentro il tuo lavoro?
Ogni tratto, ogni segno di matita tracciato sul foglio dice qualcosa di me, dello stato d’animo che ho nell’attimo in cui sto realizzando quell’opera. Lo stesso soggetto rappresentato oggi sarebbe comunque diverso se lo rappresentassi domani o se l’avessi rappresentato ieri. Anche le linee seguono il mio umore: più spigolose, nei giorni di malinconia o tristezza, più dolci se la giornata è stata lieve; il volto e le espressioni potrebbero essere più duri, se c’è qualcosa che mi dà noia o rabbia.
Credo che disegnare per me sia assimilabile ad una seduta dallo psicologo.
Disegnare mi dà modo di dare sfogo ai miei sentimenti e imprimerli sulla carta. I miei lavori crescono con me, e io con loro.
Se potessi vivere in un mito, quale sarebbe?
Domanda interessante. Ad essere onesti, non so se vorrei davvero vivere in un mito visti gli epiloghi tragici e violenti. Mi affascina il mito di Prometeo, il gigante che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e per questo fu condannato da Zeus alla sofferenza esterna, per poi essere salvato, dopo millenni, da Ercole. Mi piacerebbe sicuramente avere la stessa forza e il suo stesso coraggio. L’altezza ce l’avrei anche forse anche il fuoco, almeno quando disegno.
È tutto il resto che manca!