MFW FW23-24 UOMO: Le nostre review

La MFW FW23-24, che possiamo tranquillamente chiamare fashion week-end è ufficialmente finita e dopo anni di grande sperimentazione ai limiti dell’eccesso, ora pare che i brand abbiano puntato su mood più tradizionali e conservatori, un po’ come il governo italiano, ma sull’onda di quell’estetica old money che tanto piace ai nuovi consumer. 

Diciamo che la transizione è stata abbastanza facile per chi ha una storia; ma che si sta rivelando invece assai più insidiosa per chi, invece, si trova a dover fare i salti mortali per compierla.

È nel punto di equilibrio tra eleganza, sport e comodità che si trova la sintesi di questa tre giorni di moda uomo, settore che sta vivendo così la sua età della Restaurazione, con il ritorno di quei pezzi considerati intramontabili e identitari di ogni marchio, accompagnati da nuove creazioni all’insegna dell’altissima qualità dei materiali, per un lusso realmente esclusivo. 

Ad aprire le danze è stato Gucci che, dopo i sette anni sotto la “geniale” e sovversiva direzione creativa di Alessandro Michele, sta tornando ad un’estetica più classica: la sua sfilata uomo Autunno/Inverno 2023-2024 per via dell’accaduto era la più attesa ma si è rivelata una comprensibile delusione, per non dire flop.

È toccato al team creativo interno all’azienda il compito di raccogliere un’eredità pesante come quella di un creativo a cui si associa il gender fluid non come stile ma come visione di vita.  In tal senso, il ritorno (dopo tre anni) a collezioni separate per uomo e donna è stato già un primo sostanziale e aggiungerei inutile passo. Ecco quindi che il team ha lavorato per sottrazione, consegnando un guardaroba ai limiti dell’anonimato, con declinazioni libere delle tante mascolinità contemporanee che fondono influenze diverse, derivate dagli archivi e da ispirazioni contrastanti, in primis lo streetwear.

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Sfilata Gucci

Da Fendi solo l’allestimento della sala con i suoi binari aerei che trasportavano sfere argentate creata da Nico Vascellari bastava a far intendere che lo spettacolo e la collezione sarebbero stati ipnotizzanti, e già dal primo look la sensazione era confermata.
Considerando i costosissimi componenti come i cappotti in pelle dipinti a mano e con finiture antiche, giacche in shearling, lunghi giubbotti in pelle plongé, giacche in cashmere intrecciate a mano, borse imbottite con coperte di cachemire e stivali di coccodrillo con tacco cubano impossibile comprare qualcosa con meno di cinque mila euro.

Poiché al di là dell’analisi approfondita della sfilata in superficie era ed è evidente che quella di Fendi è stata una delle collezioni più lussuose di Milano, con una texture morbida nella sua consistenza e avvolgente nelle sue proporzioni generose e nei suoi molteplici strati di tessuti pregiati. 

Tornando ai vestiti si dice che quando Silvia Venturini Fendi viveva a New York negli anni ’80 e lavorava da Bergdorf Goodman, era solita indossare un top monospalla sotto i suoi look da lavoro, in modo da essere pronta per un giro allo Studio 54, o per un giro al Roxy. Ecco rivivere in passerella questi modelli monospalla per gli uomini in aggiunta a maglioni sexy o un’insolita camicia da sera a righe che offre uno scivolone ad ogni passo.

Analizzando la collezione, si trovano pezzi che costeranno come tre anni di affitto di una stanza a Milano in colori sobri e classici come il grigio, l’avena il blu e il nero ma che sono reversibili, così da giustificare il prezzo.

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Sfilata Fendi

Una collezione meravigliosa ha segnato il debutto di Marco De Vincenzo nella moda maschile di Etro e ha dato prova di un’irresistibile progressione creativa.

In un momento storico in cui gli stilisti appena nominati Direttori creativi di un brand vengono messi sotto pressione per fornire un’immagine definita e d’impatto fin dall’inizio, è molto più interessante vedere un designer che sviluppa la sua visione gradualmente; facendo sentire gli spettatori coinvolti nel processo di scoperta.

A questo scopo, gli ospiti che arrivavano nella fabbrica di Via Orobia potevano vedere e toccare con mano il motivo per cui De Vincenzo si impegna a mettere l’eredità tessile di Etro al centro della sua attività, mentre scaffali e rotoli di campioni di tessuto d’archivio hanno offerto uno sguardo al know-how di Etro.

Se l’allestimento non fosse abbastanza esplicativo, lo stilista ha messo in evidenza modelli desiderabili  e ricchi tessuti nella collezione, aggiungendo una parte della sua storia personale.Prendiamo il primo look: un lungo cappotto di lana con un motivo geometrico all over che riproduceva una coperta di velluto che lo stilista possedeva da bambino.

Come una sorta di talismano, ha guidato una convincente sequenza di maglieria artigianale, capispalla accoglienti e sartoriali, tutti impregnati di una freschezza riconducibile ai nuovi consumer.

Un elemento chiave, il tartan, rimandava ai primi tempi di Etro, mentre i bellissimi maglioni con motivi optical strizzavano l’occhio agli effetti ottici di De Vincenzo. Una reintroduzione del paisley è stata filtrata attraverso la lente dello stilista in tute e abiti-camicia.

Mantenendo le forme non complicate, la silhouette allungata degli anni ’70 aveva accenti grungy. Un altro elemento degno di nota sono i pantaloni da smoking delicatamente ricamati con fiori in vita abbinati  a camicie a quadri per outfit che evocavano il DNA  di Etro senza la necessità di altri riferimenti. Bravo.
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Sfilata Etro

DSquared2 e MSGM non pervenuti. Entrambe le collezioni prive di emozioni, ancora una volta fumo negli occhi per nascondere vestiti che servono per coprirsi, per gente convinta che basti il logo su una felpa o un cappellino per trovare un posto nel mondo.

In una stagione maschile milanese povera di emozioni è stato lasciato a Miuccia Prada e Raf Simons il compito di alzare l’asticella oltreché il soffitto.

Gli applausi scroscianti alla fine della loro fantastica sfilata di domenica, che ha visto una collezione austera creata esclusivamente per vendere.”Sartorialità riduttiva, schegge grafiche di stampa e maglia, messi a nudo sulla pelle”, si legge sulle note della sfilata che tradotto significa: Colletti appuntiti e frammenti di maglione abbottonati nelle giacche o nei cardigan, come nuovi dickies, lasciando il petto scoperto. Come tutte le sfilate di Prada, era ripetitiva.

Eppure, è stato difficile trovare difetti nell’impareggiabile sartoria delle giacche, che si contrapponevano a pantaloni sottili e affusolati con pieghe permanenti davanti e dietro.

I capispalla erano sensazionali: cappotti di lana classici fino al midollo tranne che per le quattro cerniere orizzontali bianche – o vivaci nastri lungo le maniche e il carré, che davano loro un tocco visivo; giacche e tuniche in pelle scamosciata, squadrate o sottili, nel più profondo il più delizioso dei colori caramello, e i bomber militari ridotti a uno sbuffo di raso verde o navy, con la fodera arancione come unico dettaglio.

Poi la punta di minimalismo: un giubbotto bianco che assomigliava a un cuscino il cui riferimento è Margiela 1990 e Margiela 1999.
Salvo alcuni colletti a punta, questa collezione è stata completamente priva di stampe, lasciando la parola alla precisione delle forme e combinazioni di colori così desiderabili come limone pallido e giada, cammello e arancio, oppure malva e marrone cioccolato.

Prada e Simons, che di solito prima o dopo lo show rilasciano interviste questa volta hanno detto che il ritorno all’essenziale può essere la strada migliore da percorrere in tempi duri e bui come questo.

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Sfilata Prada

“C’è un premio per l’abito più stupido alla settimana della moda maschile a Londra?”, scriveva il  Daily Mail nel gennaio 2013. In testa alla lista c’era quello di Jonathan Anderson.

“Da J.W. Anderson l’umiliazione dei modelli è stata resa completa, dato che lo stilista ha mandato in giro il suo clan di bellezze maschili con pantaloncini a balze”, ha commentato il tabloid britannico non ancora pronto ai discorsi sull’identità di genere.

A distanza di 10 anni, quei pantaloncini sono tornati, questa volta in pelle e con un lucchetto in vita.

Trovo che Anderson sia uno dei più promettenti in circolazione, lo dico da anni e non mi stancherò di dirlo anche se nel complesso, questa collezione è stata povera di nuove idee, e piuttosto povera di abiti: un buon numero di modelli hanno sfilato vestiti solo di soffici slip infantili, alcuni stringendo un lungo rotolo di tessuto di lana, o abbracciando un cuscino.

“Si tratta di intimità, di domesticità, è un riavvio”, ha dichiarato Anderson aggiungendo che il suo marchio è in forte espansione tanto da aprire un nuovo negozio in primavera in Via Sant’Andrea a Milano dove le scarpe con gli occhi di rana arriveranno ad aprile, solo in taglie da adulto.

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Sfilata J.W. Anderson

Se non trovate altre review è perchè evidentemente non mi hanno trasmesso niente, anzi si… Armani con la sua parata eteronormativa mi ha solo arrabbiare e onestamente difficilmente troverà spazio su questo magazine.

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