Babylon ci rivela la percezione stantia del cinema americano

Scenografia, costumi e colonna sonora. Suonano come campane a morto le tre nomination agli Oscar di Babylon, l’ultimo film del celebratissimo, nominatissimo, amatissimo Damien Chazelle che dopo le glorie, meritatissime, di La La Land, viene messo in un angolo dall’Academy, dal mondo della critica cinematografica, e di conseguenza anche dal grande pubblico.

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Da sempre Hollywood ama i film sul Cinema, La La Land appunto (sei oscar per quattordici nomination) “The artist” (cinque vinti, tra cui miglior film, per dieci candidature) Mank, la storia dello sceneggiatore di “Quarto potere”, e “C’era una volta a Hollywood” di Tarantino (entrambi due vittorie su dieci nomination) giusto per citarne alcune.

Allora perché questo schiaffo in faccia a Chazelle e a questo film che racconta, sarebbe meglio dire urla, il drammatico passaggio dal cinema muto a quello sonoro?
Babylon intreccia le vite del tuttofare messicano Manny Torres (Diego Calva), dell’aspirante star del cinema muto Nelly LeRoi (Margot Robbie) e del navigato e rispettato attore Jack Conrad (Brad Pitt) sullo sfondo della Los Angeles del 1926.

Nel primo quarto d’ora di film Chazelle ci butta in una festa che sembra un girone infernale, ma dove tutti sono felici, strafatti e poco vestiti. Puro edonismo, con tonnellate di coca a fare da carburante a quel mondo di vuota perdizione.

È però nella scena immediatamente successiva, in cui Brad Pitt recita: “L’uomo che ti fa benzina va al cinema perchè si sente meno solo, la! Non dovremmo propinargli sempre la solita merda!” che ho pensato: “ha detto più lui in questa frase che Steven Spielberg in tutto The Fablemans”.

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Uscito nel periodo Natalizio, The Fablemans, è l’ultima celebratissima fatica del Re di
Hollywood, la sua opera più intima, dichiara lui stesso in un breve video che viene proiettato prima del film.
Racconto di formazione autobiografico, sulla vita della famiglia Fableman e su quanto sia bello andare al cinema e fare il cinema. Il tutto è narrato con un punto di vista
drammaticamente semplicistico, eroistico, ombelicale, innocuo, fatto per piacere a tutti. Fine.

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Spielberg fin dalle sue prime produzioni ha ridefinito massicciamente l’immaginario del
cinema americano creando soprattutto un nuovo standard, il metro di misura con cui i
cineasti e produttori si sono misurati per 40 anni buoni tanto nelle immagini, quanto nello storytelling.

John Landis, Robert Zemeckis, George Lucas e appunto Steven Spielberg dai
primi anni ‘80 hanno dettato legge, con cognizione di causa, ma hanno gettato un velo di sfiga su chi non si conformava a quei dettami.

Poi è arrivato “Dogma 95” ma quella è un’altra storia.
Ora però, che il cinema indipendente si sta prendendo, finalmente, il suo spazio, adesso che storie antieroiche, bizzarre, inaspettate stanno invadendo le sale e le watchlist degli
spettatori elogiare un film come the Fablemans ed essere detrattori di Babylon risulta
grandemente anacronistico. Una Boomerata.

E di boomer, che tra Spielberg e Chazelle, buttano giù dalla torre il secondo ce ne sono
tantissimi.

Spielberg non fa nulla per scuoterci, lui che riusciva a sconvolgere il pubblico usando
“semplicemente” un cappottino rosso in “Shindler’s List”, ci accompagna per mano,
saldamente, senza scossoni.

Chazelle invece ci butta all’inferno, senza bussola, nel caos vero, autentico, informe, viaggiando sempre con la quinta ingranata.

Credo che il punto sia proprio questo, la critica ha preferito il lieve ma rassicurante dramma familiare del Maestro, dove alla fine il bene vince (perchè aderente all’american dream carico di nostalgia), all’incontrollabile follia, a tratti difficile da decifrare, senza eroismi, piena di fallimenti colossali dell’Allievo.

“Essere innocui insomma, che sennò è volgare” cantavano gli Afterhours nel ‘99,
anticipando quello che oggi si chiama “safetyism”, quella volontà tutta americana di non
urtare le sensibilità di nessuno, mai, in nessun ambito, soprattutto artistico.

Merda di elefante, pissing, vomito, abusi sessuali estremi, morti assurde, blackface su attori di colore, Babylon butta in faccia allo spettatore tutto questo per 3 ore e per Hollywood è stato evidentemente troppo per vedere che in realtà è un film estremamente poetico e profondo, quando la luce riesce a farsi spazio nelle tenebre di un animo umano, raccontato qui senza fare sconti a nessuno.

Particolarmente toccante e assolutamente vere sono le parole sul futuro, su quello che resta di un attore una volta che muore: “Ogni volta che qualcuno metterà in un proiettore una tua pellicola, tu rivivrai e diventerai eterno, come gli angeli e i fantasmi, anche se il tuo tempo adesso è finito”.

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La chiave di volta nella poetica di Babylon, quel singolo elemento senza il quale il film non sarebbe lo stesso, è l’inquadratura immediatamente prima del gran finale del film. Siamo già a 2 ore e 50 minuti dall’inizio, la regia sta per sfoderare la stoccata finale, il colpo da maestro ma prima di farlo fa arretrare la telecamera in una sala cinematografica e ci mostra il pubblico intento a guardare un film.

Vediamo le loro facce, le loro espressioni, c’è chi mangia i pop corn, chi limona duro. Giovani, vecchi, bambini, adulti, tutti, con il naso all’insù e gli occhi fissi sullo schermo. Poi la camera si alza, riprende in pianta la platea silenziosa e sbam, il gran finale si materializza davanti ai nostri occhi, a noi, che siamo il pubblico vero, il
pubblico in sala, traghettati verso una delle più grandi dichiarazioni d’amore per il cinema che abbia mai visto.

Non vi dirò cosa si vede in questo finale né come quel personaggio sia arrivato in quel
cinema, lo spoiler sarebbe davvero un crimine in questo caso.

Chazelle dichiara fino alla fine che il cinema si fa per il pubblico e non (solo) per soddisfare il proprio ego, quindi questo è un film che parla di noi, che durante il lockdown abbiamo cercato rifugio in quelle storie, che siamo andati al cinema anche con la mascherina, noi che siamo famelici di cinema o che magari ci andiamo solo per vedere un film della Marvel, e ci dice:” va bene, va bene così” perché è con voi che noi vivremo per sempre. Nei vostri occhi, nelle vostre orecchie, nel vostro cuore. Per sempre.