Radio Whitemary per viaggiare nella mente

Con un tour estivo quasi concluso e un album uscito da poco, Whitemary dà il ritmo ai nostri contrasti con frasi decise che parlano all’istinto.

I fari delle macchine si rimpiccioliscono veloci nello specchietto retrovisore. Un’autostrada buia scorre tra cartelli lampeggianti e i brani di “Radio Whitemary” che sembrano sincronizzarsi con l’alternarsi di puntini luminosi e alte ombre a bordo strada.

Whitemary, dopo l’esibizione del 28 maggio sul palco del MiAmi, ha intrapreso il proprio tour estivo con il suo ultimo album per 42 Records, “Radio Whitemary”.

Il disco viaggia nella mente di chi ascolta per toccare i poli della nostra parte razionale e del nostro istinto che ci chiama e ci assorbe in una galleria di luci al neon e parole ripetute come mantra. In un abitacolo che ospita pensieri e sentimenti, in un viaggio lungo quanto l’esplorazione di noi stessi, abbiamo chiesto a Whitemary qualcosa in più su questo ultimo lavoro.

Come nasce Radio Whitemary e quali sono stati i sentimenti che hanno animato questa urgenza espressiva?

Diciamo che tutti questi sentimenti sono tutti molto spontanei, tendenzialmente sono sentimenti un po’- non vorrei dire negativi – però, appartengono a quella parte ombrosa dell’animo che avevo necessità di tirare fuori. Avevo la sensazione che non fosse accettato parlare di queste cose, invece, io ne avevo bisogno. Quindi, sono tendenzialmente tutte cose non proprio positive ma che ci caratterizzano. Io mi sentivo così e volevo condividerlo.

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Poche frasi decise e ripetute. Come hai scoperto e decifrato il tuo modo di scrivere così caratterizzante?

L’ho scoperto provando, cercando di fare tanti tentativi. Ho iniziato a scrivere in italiano già da un po’ di anni, inizialmente scrivevo in inglese. All’inizio volevo scrivere molto, presa anche da tutta la parte di cantautorato indie, anche romano, in cui i testi erano molto lunghi, non esplicativi ma con tanto materiale dentro. Io, in realtà, sono una piuttosto pratica, arrivo subito al sodo. Cercavo di trovare una formula in poco tempo che esprimesse una mia idea e che potessi ripetere un po’ per confermarla e un po’ per mitigarne il significato ogni volta che viene detta di nuovo.

Radio Whitemary ci porta nei meandri della nostra testa, dalle parti razionali a quelle impulsive che spingono a muoversi e ballare. Definiresti il tuo approccio alla musica e alla vita più istintivo o razionale e programmato?

Direi entrambe le cose che a un certo punto trovano il modo di funzionare una dopo l’altra. Quindi, fare tante cose in modo razionale, automatizzare pensieri, ragionamenti, approcci e poi, scegliere cosa vuoi fare, però, facendolo tante volte, andare in pilota automatico, poi lì, far arrivare la parte istintiva e irrazionale.

In “Radio” parli di un nodo in gola che ti impedisce di comunicare. Cosa per te rappresenta un “nodo in gola” oggi?

L’apatia sicuramente. Questa difficoltà che si porta dietro la noia, però, la noia negativa, quella in cui non ti stai annoiando perché ti stai godendo di un momento morto ma una noia da demotivazione. A volte quella noia ancora ti chiude e ti crea una barriera che non ti fa comunicare con l’esterno, un nodo che ti chiude la gola. Per me, avere quel nodo in gola significa chiudere proprio la possibilità di comunicare con l’esterno, rimanere soli nel proprio cervello a farsi mille domande.

Sei alle ultime date del tuo tour estivo. Quali sono i ricordi e i sentimenti che ti ha lasciato quest’esperienza?

Mi ha dato una vita completamente diversa. Suono da tanto, però, non c’erano state queste occasioni che mi avevano dato così tanto a livello di pubblico, a livello di riuscita. Sono molto contenta perché mi sembra stia andando tutto bene. Con progetti precedenti o con due anni di Covid, avevo un po’ questo ricordo dei live come una gran fatica, invece, sono passati tutti molto velocemente, ci siamo divertiti e ho avuto un buonissimo riscontro. In più, ho riniziato a suonare con gli amici, cosa che mi mancava tantissimo. Questa condivisione di momenti lunghi dove, però, succede tantissimo, il supporto nei pre-live, in quei momenti in cui ti sale l’ansia da prestazione, la sensazione di condividere emozioni così forti con persone a cui sei legata. E poi non lo so, ho incontrato tante persone e ho ritrovato tutto quello che mi mancava dal covid, è tornato tutto insieme.

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Vieni da uno studio del jazz approfondito. Cosa hai portato dei tuoi studi in questo album?

La parte armonica, cercare di creare tensioni e risoluzioni che potessero sorprendere un po’ l’andamento molto regolare dei pezzi. L’armonia mi è stata utile per creare quel momento di diversità che spezzava la ripetitività della musica elettronica e poi, in generale, ho ripreso un po’ l’approccio di non pensare solo al proprio strumento ma avere orecchie a trecentosessanta gradi e utilizzare la voce come se fosse uno strumento aggiuntivo a tutti gli altri.

Come nasce “Poche”, il collettivo con Elasi e Plastica?

Mi hanno chiamata, avevano quest’idea del collettivo e hanno iniziato a fare questa lista di nomi. Elasi mi ha scritto su Instagram e ci siamo sentite al telefono, abbiamo fatto una chiacchierata molto amichevole. È nato dalla condivisione di esperienze comuni, abbiamo fatto una panoramica generale per comprendere non solo le nostre esperienze ma quella che è la situazione italiana. Ci siamo fatte forza a vicenda, ci siamo date una linea e poi abbiamo continuato come gruppo per darci una mano. Cerchiamo di fare rete per emergere da questo mondo lavorativo non solo chiuso alle donne ma chiuso alla novità.

“Non mi capivo e non lo faccio ancora” frase ricorrente in “Hello hello”, brano con cui chiudi il disco. Quanto è stato importante capirti e in cosa, invece, ti lascerai libera di non comprenderti anche in futuro?

È stato importante capirmi. Ad un certo punto non sapevo proprio chi ero, cosa facevo, perché facevo quello che facevo e, in realtà, non ti so dare una risposta neanche adesso ma almeno ora so cosa sto cercando. Ho aperto degli interrogativi che prima non c’erano. Ci sta non comprendere tutto, non mi faccio una colpa di non capire. Penso, però, che non smetterò mai di cercare di analizzare in modo analitico tutta una serie di aspetti anche un po’ più interiori.

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Qual è l’ultimo disco di cui ti sei innamorata?

Difficile… ce l’ho! L’ultimo disco delle Wet Leg mi è piaciuto e l’ho ascoltato tantissimo.

Alla ricerca di punti di rottura nelle nostre ripetitività, ci lasciamo guidare da “Radio Whitemary” nel percorso verso un modo di indagarsi non più improntato alla coerenza assoluta ma che riesce a sottolineare i nostri contrasti. In un viaggio tra le ansie delle domande rivolte a noi stessi, recitiamo ad alta voce le nostre formule personali per comprenderci o per lasciarci la possibilità di non farlo fino in fondo. Tra musica elettronica e frasi ripetute e svuotate da loro stesse, Whitemary parla al viaggio che ancora dobbiamo fare e lo fa sottolineandone non il punto d’arrivo ma l’urgenza che ne muove l’inizio.

Photo credit: Fabrizio Narcisi